Mascherine sì, mascherine no. Da quando è iniziata la crisi sanitaria coronavirus, le indicazioni arrivate da medici e scienziati sull’uso delle mascherine sono state contrastanti. Le ultime notizie danno per imminente un cambio di marcia anche dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), dopo uno studio dell’MIT secondo il quale il coronavirus all’interno delle goccioline emesse con un colpo di tosse o uno starnuto potrebbe “viaggiare” nell’aria per distanze ben più ampie di quanto si pensi.
Ma qual è la situazione in Italia dopo che per settimane, nel pieno dell’emergenza coronavirus, l’offerta è stata insufficiente per soddisfare la domanda proveniente dalle strutture sanitarie e quelle dei cittadini?
Tutto nasce dal fatto che la produzione di mascherine in Italia, così come nella maggior parte dei paesi europei, non avviene più da anni. Questo ha creato forti criticità quando, nel giro di poche settimane, questi dispositivi sono risultati necessari per salvaguardare la salute degli operatori sanitari e dei cittadini.
Per quanto la situazione sia leggermente migliorata, sono ancora numerosi i nodi da sciogliere. A partire dai tempi lunghi per l’ok alle mascherine prodotte da aziende italiane, soprattutto della filiera della moda e dell’igiene personale, che hanno deciso di riconvertire la loro produzione.
Secondo l’Iss, su oltre ottocento richieste di autorizzazione finora ha potuto dare l’ok solo ad una quarantina di aziende in tutta Italia, “la gran maggioranza delle proposte” giunte all’Istituto “non aveva i requisiti di standard richiesti” per le cosiddette ‘mascherine chirurgiche’, ovvero quelle usate dai sanitari. Cio’ non esclude che quelle fuori norma per medici e infermieri possano essere invece distribuite al resto della popolazione.
Per non parlare poi di dispositivi provenienti dall’estero distribuiti ai medici, ma non idonei: un errore, quest’ultimo, che ha lasciato “amareggiato” lo stesso Arcuri, Commissario per l’emergenza, il quale provvede agli ordini e agli accordi sui prodotti.
Come se non bastasse, negli ultimi giorni si è aggiunta un’altra grana: quella arrivata da una dicitura sbagliata sugli imballaggi di 620mila ‘medical mask’ che erano state donate dalla Cina alla Protezione Civile e poi messe in distribuzione: sulla scatola c’era scritto Ffp2 (le più protettive e in uso ai sanitari nelle terapie intensive), ma quando i pacchi sono stati aperti all’interno c’erano mascherine da ferramenta.
Dall’estero le grosse quantità di dispositivi sanitari di protezione continuano intanto ad arrivare: finora – ha spiegato il ministro degli Esteri Di Maio – 30 milioni di mascherine, 22 milioni delle quali dalla Cina.
Sul tavolo del Commissario dell’emergenza il tema resta dunque tra i più scottanti. Finora per le mascherine è stata
autorizzata una spesa di 2 miliardi e ne sono già state distribuite 42 milioni, presto anche per chi lavora nelle
farmacie.
In tutto questo si è aggiunta la speculazione sui prezzi dei dispositivi aumenta di pari passo con i numeri della pandemia: per l’acquisto delle ‘chirurgiche’ si e’ passati da un prezzo di 20 centesimi fino ad un euro, con un punte fino a 5 euro. Si pagano dai 16 ai 20 euro, invece, i dispositivi particolarmente protettivi, come le Ffp2 e Ffp3.