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Petrolio, perché i future sono alla base del repentino crollo

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Martedì scorso il petrolio Wti ha toccato i livelli più bassi di sempre. Il contesto che ha circondato il petrolio a prezzi negativi è noto: crollo della produzione economica e della domanda, tagli di output di greggio insufficienti a ribilanciare domanda e offerta. A ciò si aggiunge il progressivo esaurimento dello spazio disponibile per stoccaggio del greggio estratto, fatto che scopre ancora di più l’attuale condizione squilibrio.

L’ultimo elemento-chiave per comprendere il brusco calo del petrolio, in particolare fra lunedì 20 e martedì 21 aprile consiste nei termini di scadenza dei contratti future.
Lo ricordiamo, il future è un contratto derivato in cui le parti concordano in anticipo il prezzo di una transazione che avverrà in un momento futuro – con il risultato di ridurre l’incertezza (o l’obiettivo di speculare fra le differenze che si vengono a creare fra il prezzo pattuito e quello di mercato nel momento in cui la transazione si verifica).

Martedì scorso era in scadenza il future di maggio, gli investitori non interessati all’acquisto di greggio, pertanto sono stati costretti a rinnovarlo in condizioni mercato assai più difficili del normale.

“Gli investitori finanziari, non interessati alla consegna del petrolio, sono forzati, mese per mese, a ‘rinnovare’ il contratto future in scadenza, vendendo quello più vicino e acquistando il successivo”, ha spiegato Massimo De Palma, responsabile team Multi Asset Italia di GAM (Italia), “il fatto che i prezzi non siano uguali crea un costo di rinnovo, noto con il nome di contango, perché il prezzo del primo contratto è inferiore al secondo acquistato, o un rendimento nel caso opposto (backwardation)”.

Il rischio di subire elevati costi di rinnovo (contango) sui future legati al petrolio è al momento molto elevato, ha scritto De Palma. Questo anche perché un numero crescente di investitori ha deciso di acquistare un’esposizione al petrolio, sulla base delle interessanti valutazioni del barile.

“Ciò ha causato ulteriori distorsioni, particolarmente evidenti se consideriamo l’andamento dello US Oil Fund, l’ETF sul WTI più grande al mondo (capitalizzazione di 4 miliardi di dollari)”, ha spiegato De Palma, “l’ETF ha una porzione significativa dei contratti aperti sul mercato e il fatto che li dovesse rinnovare, vendendo massicciamente il future di maggio e comprando quello di giugno, ne ha esacerbato la differenza di prezzo. In altre parole, ha creato dei costi di rinnovo altissimi.

Nel momento in cui scriviamo il medesimo fenomeno osservato sul contratto di maggio, ormai scaduto, si sta ora verificando su quello di giugno (al di sotto di 11 dollari), inferiore di circa il 50% al future di luglio (20 dollari)”.

L’aspettativa che il petrolio risalirà in futuro non è sufficiente per ottenere un profitto: è necessario tenere conto dei costi di rinnovo dei future, il che rende il gioco assai più complicato.

“Il rischio di un contango altissimo, passibile anche di costare oltre il 50% in un mese, permarrà per qualche tempo”, ha concluso De Palma, “aggravato dagli ingenti flussi finanziari, da una domanda fragilissima e dall’alto livello delle scorte”.