Articolo di Matteo Allevi, consulente finanziario che opera nel Regno Unito
Sono passati solo pochi giorni da quando il Presidente del Consiglio – Giuseppe Conte – ha comunicato al popolo italiano l’inizio della cosiddetta “Fase 2”, ovvero il primo di una lunga serie di passi che dovranno portarci ad un graduale ritorno alla normalità e già in molti cominciano a chiedersi come pagheremo il conto dei danni sanitari e soprattutto economici provocati dal Covid-19.
Tutti i Paesi maggiormente colpiti dalla pandemia sono già alle prese con un PIL in forte calo, una disoccupazione in crescita con conseguente contrazione dei consumi e con l’annosa gestione della ripartenza nella speranza che la ripresa delle attività lavorative scongiuri quella che è già una recessione conclamata dal divenire una profonda depressione economica.
Per l’Italia profonda recessione
L’Italia in questo contesto non fa certo eccezione e come spesso ci ha tristemente abituati nel corso degli ultimi anni, si trova ad essere tra i fanalini di coda nelle classifiche mondiali. Secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale, il PIL del nostro Paese nel 2020 potrebbe registrare un tonfo del -9,1%. Il peggior dato dal dopoguerra. Male anche sul versante del lavoro, con un tasso di disoccupazione che dovrebbe attestarsi quest’anno al 12,7%. Ma la vera spada di Damocle per un Paese fortemente indebitato come il nostro è rappresentata dall’incremento del debito pubblico. Secondo l’FMI il rapporto debito/PIL è destinato ad aumentare al 155,5% dal 134,8% del 2019. Il Dipartimento del Tesoro ha previsto maggiori emissioni di Titoli di Stato per far fronte agli interventi economici del Governo a sostegno di famiglie e imprese. Se è vero che nell’immediato il collocamento sul mercato del nostro debito pubblico non riscontrerà gravi criticità grazie all’ombrello della BCE che nel solo mese che va dal 18 di marzo alla metà di aprile ha acquistato, secondo alcune stime di Goldman Sachs, qualcosa come 30/40 miliardi di euro di Titoli di Stato italiani, per il futuro si porrà il gravoso problema di come questo debito monstre dovrà essere gestito.
Rischio patrimoniale?
È da tanti anni che in Italia, a fasi più o meno alterne, torna in auge lo spauracchio di una patrimoniale ed in considerazione di quanto sopra descritto, è tornato ad essere un argomento di grande attualità. Se ne parla più o meno ovunque, negli ambienti finanziari così come nei salotti della politica italiana e il timore dei contribuenti italiani è palpabile. Ma siamo sicuri di porgere lo sguardo nella giusta direzione?
Tenendo a mente il proverbio cinese “Quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito”, ho la netta impressione che per gli italiani sia ancora troppo vivido il ricordo del prelievo forzoso del 6×1000 sui conti correnti operato dal governo Amato nel 1992 e temono che la storia possa ripetersi nello stesso modo. Ma se nell’analogia precedente “il dito” è rappresentato dalla storia di ciò che è stato in passato, ho il sospetto che tutti stiano ignorando gli indizi, ovvero “la luna”, che potrebbero aiutarci a formulare delle ipotesi più realistiche in merito all’introduzione di un’ipotetica patrimoniale.
Nulla sarà lasciato al caso. Lo Stato è molto efficiente quando vuole esserlo e punterebbe quindi a massimizzare i risultati attesi della patrimoniale. Dal documento Questioni di Economia e Finanza (QEF) n. 470 del novembre 2018 intitolato “La ricchezza delle famiglie in sintesi: l’Italia e il confronto internazionale” traspare molto chiaramente che la vera ricchezza degli italiani non risiede tanto nella componente finanziaria, comunque elevata, di 4.400 miliardi, quanto in quella reale, per lo più immobiliare, che ammonta alla stratosferica cifra di 6.300 miliardi di euro. Basti pensare che oltre il 70% della popolazione italiana possiede almeno un immobile di proprietà e che questo dato è tra i più alti al mondo. Ergo, chi siede nella famosa stanza dei bottoni, dove rivolgerà il proprio sguardo secondo voi?
Chi rischia la stangata e su cosa?
La prima imposta che potrebbe tornare a colpire il nostro patrimonio immobiliare sarebbe senz’altro quella di più facile reintroduzione, ovvero l’IMU sulla prima casa che potrebbe fare la sua ricomparsa anche solo per un periodo di tempo limitato. In secondo luogo non è da escludersi nemmeno una più vasta riforma del catasto e una revisione delle rendite catastali ancora ferme ai valori del lontano 1989. L’attuale metodo di calcolo ha per oggetto il numero dei vani, mentre il nuovo sistema dovrebbe idealisticamente basarsi sui mq dell’immobile. Il conseguente aumento delle rendite catastali farebbe inevitabilmente lievitare anche le imposte ad esse collegate tra le quali ricordiamo l’IMU, l’imposta sulle donazioni e sulle successioni, le imposte ipocatastali e l’imposta di registro.
Un secondo importante intervento, strettamente legato al primo, potrebbe avere per oggetto la riforma delle imposte di successione. Potrà sembrarvi surreale, ma l’Italia in tema di imposte sulle successioni è paragonabile ad un paradiso fiscale.
Nello specifico l’introduzione di un disegno di legge che punti a ridurre la franchigia di 1 milione di euro ad erede in linea retta e contestualmente ad innalzare le aliquote, porterebbe sicuramente un gettito importante e soprattutto ricorrente nelle casse dello Stato. Temo che anche su questo punto, una riforma sulle imposte sulle successioni sia una questione di “quando”, non di “se”.
Se nel primo caso l’adozione di eventuali contromisure per tutelarsi nel breve periodo dal rischio patrimoniale è complicato, in quanto significherebbe dover alleggerire velocemente il patrimonio immobiliare degli italiani cercando di dismettere sia le unità non messe a reddito che quelle ad uso diverso rispetto all’abitazione principale, nel secondo caso esistono già tutti gli strumenti per poter cominciare fin da subito ad attuare un’efficace pianificazione patrimoniale in ottica successoria.
È altresì evidente che ogni persona fisica e nucleo familiare dovrà valutare singolarmente, possibilmente coadiuvato da un team di professionisti del settore, le proprie necessità in tema successorio. Ma strumenti quali il testamento, il patto di famiglia, il trust e l’adozione di polizze vita potranno aiutarvi fin da subito a prendere le giuste decisioni soprattutto in ottica di risparmio fiscale.
Gli italiani, in generale, sono un popolo di grandissimi procrastinatori e mi rendo conto anche io di non essere poi così diverso dalla media dei miei connazionali.
In tema di ottimizzazione del nostro patrimonio, sia immobiliare che dal punto di vista della pianificazione successoria, ci troviamo però di fronte al più classico dei bivi con solamente due strade percorribili: affidarci alla sorte e lasciare a qualcun altro (Stato) l’onere della gestione dei nostri lasciti, oppure afferrare immediatamente il toro per le corna e provvedere in prima persona alla tutela della nostra persona e soprattutto di quella dei nostri cari.
Tra il dito e la luna, confido che volgerete lo sguardo verso quest’ultima.
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