A cura di John Plassard, investment specialist del Gruppo Mirabaud
Nonostante un inizio lento e a volte esitante, le banche centrali di tutto il mondo si sono unite nella battaglia per contrastare gli effetti dannosi della pandemia. Dall’acquisto di titoli obbligazionari al taglio dei tassi, non mancano le misure di risposta alla crisi a livello monetario. Tuttavia, è difficile comprendere le reali implicazioni di questi interventi.
Nei prossimi mesi, i programmi di quantitative easing dovrebbero anche permettere di finanziare senza difficoltà i piani di aiuti dei governi. Ci si chiede ovviamente dove e fino a quando ciò sarà possibile.
In generale, i bilanci delle banche centrali (in particolare quelle del G6) sono aumentati dall’inizio dell’anno e soprattutto dall’inizio della pandemia. Il bilancio della Fed dovrebbe raddoppiare nel 2020 rispetto al 2019 (39% del PIL americano contro il 19%).
Un aspetto a cui tutti guardano è il legame tra l’espansione dei bilanci e gli indici dei mercati azionari: gli indici statunitensi sono stati spinti al rialzo da alcuni grandi nomi, ma anche le iniezioni di liquidità della Fed hanno alimentato il rialzo. Abbiamo anche osservato che dall’8 giugno l’S&P 500 è sceso in concomitanza con l’arresto (momentaneo?) dell’espansione del bilancio della Fed.
Il presidente della Fed, Jerome Powell, lo ha detto chiaramente qualche settimana fa: la dimensione del bilancio (Fed) non è una preoccupazione oggi, perché la priorità è “salvare l’economia”.
Questo stato d’animo è condiviso dalla maggior parte delle altre banche centrali di tutto il mondo. Ad un certo punto, però, ci sarà bisogno di pensare a una normalizzazione delle politiche monetarie, ed è a quel punto che potrebbe esserci motivo di preoccupazione. Per gli indici, in primo luogo, ma anche in termini di oneri per gli interessi.
Il caso della Federal Reserve
La Fed, la prima istituzione a lanciare un programma di acquisto di asset alla fine del 2008, ha dato il buon esempio. La banca ha indicato la strada alle sue controparti quando ha iniziato a ridurre il proprio bilancio nell’ottobre 2018.
Prima di farlo, l’Istituto ha iniziato ad alzare i tassi con cautela per evitare un aumento troppo brusco dei tassi a lungo termine (gli effetti della riduzione del bilancio di una banca centrale sugli interessi sul debito di uno Stato possono infatti essere significativi).
Il tasso di riduzione dei bilanci può essere rimodulato in caso di aumento eccessivo dell’inflazione. Infine, non dimentichiamo che il quantitative easing (e quindi l’espansione dei bilanci delle banche centrali) ha portato a più di 12,5mila miliardi di dollari di obbligazioni a rendimento negativo in tutto il mondo.
Pertanto, i livelli elevati dei bilanci delle banche centrali non sono di per sé molto importanti, poiché non vi è un reale limite alla loro espansione. Ciò che sarà cruciale per i mercati è il modo in cui questi bilanci saranno ridotti in futuro.
Per quanto riguarda invece i movimenti dei tassi citati in precedenza (si tratta principalmente di tagli – la Danimarca è stato l’unico Paese ad aver aumentato i tassi durante la crisi), ci sono stati 134 tagli record dall’inizio dell’anno; 81 banche centrali hanno abbassato i loro tassi di interesse.