Il rallentamento dell’economia globale previsto per quest’anno non potrà non colpire anche le esportazioni italiane. Anche per questo sarà importante osservare quale portata avrà la crisi-Covid sul prodotto interno lordo dei maggiori partner commerciali del Bel Paese.
In particolare, ha calcolato la società di consulenza Nomisma in collaborazione con Cribis, la recessione statunitense potrebbe tradursi in un calo delle esportazioni italiane Oltreoceano pari a 7,8 miliardi di euro, equivalente a una riduzione del 17% rispetto ai valori del 2019.
Dopo la Germania, sono proprio gli Usa il mercato di sbocco più rilevante per l’impresa tricolore. La simulazione di Nomisma è stata effettuata sulla base delle previsioni del Fondo monetario internazionale, secondo le quali il Pil statunitense subirà un calo di 8 punti nel 2020.
“Sono state stimate le diverse elasticità dell’export di tutti comparti italiani che esportano verso gli Stati Uniti, rispetto alla variazione del Pil Usa, dal 1995 al 2019 per arrivare a stimare l’impatto” del rallentamento economico previsto negli Stati Unti sull’export italiano, ha spiegato la società di consulenza.
Un calo del prodotto interno lordo, infatti, tende a ridurre il reddito disponibile e dunque anche la domanda dei prodotti importati dall’estero. Le economie che esportano più di quanto importano dall’estero, come l’Italia, hanno più da perdere dal rallentamento dell’economia globale in quanto un calo dell’export (al netto dell’import) costituisce una voce negativa (a segno meno) nel calcolo del Pil.
Nomisma, osservando le relazioni fra andamento del Pil e domanda di prodotti importati negli Stati Uniti, ha previsto quali settori risultano più esposti alla recessione americana.
“Le elasticità dei comparti alla variazione del Pil americano sono di intensità assai differente nei differenti comparti”, ha spiegato Nomisma, “per nostra fortuna i comparti che mostrano le elasticità più elevate [per i quali domanda cala di più in seguito a contrazioni del Pil Usa] registrano quote di export basse: Articoli in gomma (elasticità 4,88, quota 4,3%), Servizi (elasticità 4,69, quota 0,67%) e Legno e prodotti in legno (elasticità 4,48, quota 0,77%)”.
“Di converso, i tre comparti più importanti mostrano elasticità basse: Macchinari e apparecchi n.c.a. (quota 18,28%, elasticità 1,9), Articoli farmaceutici (quota 12,8%, elasticità 0,44) e Prodotti alimentari, bevande e tabacco (quota 10%, elasticità 0,8)”.
Tenendo in considerazione sia la consistenza del volume d’affari sia l’elasticità i comparti maggiormente coinvolti dal calo del Pil americano “sono macchinari e apparecchi n.c.a. che ridurrebbero il loro flusso di 1,26 miliardi (-15%); prodotti tessili, abbigliamento pelli ed accessori che perderebbero 1,1 miliardi (-28%); 800 milioni di euro in meno segnerebbero le esportazioni dei mezzi di trasporto (-9,6%). Infine, la voce più rilevante in termini di impatto sono le altre attività manifatturiere (gioielli, strumenti musicali, articoli sportivi e giocattoli…) che perderebbero 1,7 miliardi (-37%)”.
Le differenze fra l’export verso gli Usa e quello diretto in Germania
Non è la prima simulazione condotta sul tema da Nomisma, in collaborazione con Cribis, visto che era stata già analizzato l’impatto potenziale della crisi-covid anche sulle esportazioni dirette in Germania, il primo partner commerciale italiano con 58,1 miliardi di euro di export.
“La differenza che emerge nel confronto tra le esportazioni del nostro paese (e le rispettive elasticità), verso queste due potenze economiche, è che nel caso della Germania l’intreccio delle nostre esportazioni era assolutamente integrato nella trama produttiva tedesca”, ha spiegato Nomisma, “rispetto agli Stati Uniti, le nostre esportazioni sono maggiormente dirette su beni di consumo finali piuttosto che semilavorati. In tal senso gli Stati Uniti rappresentano più un ottimo cliente piuttosto che un partner produttivo.