In due mesi di isolamento forzato la maggioranza degli italiani si è stretta intorno alla propria famiglia, coltivando nuovi hobby, cantando sui balconi, incoraggiandosi vicendevolmente sul fatto che sarebbe andato tutto bene.
Era soprattutto una speranza nel momento più difficile dell’emergenza sanitaria. Allora, quando i contagi crescevano a un ritmo che pareva inarrestabile, nessuno sapeva veramente quante vite il virus avrebbe portato via; né si poteva essere sicuri che curare tutti sarebbe stato possibile. Dal 18 maggio, l’avvio della Fase 2 ha ripristinato gradualmente la prevalenza delle preoccupazioni economiche su quelle sanitarie.
È ormai certo che l’eredità dei due mesi di chiusura forzata dell’economia è destinata ad assumere un peso rilevante sui conti dell’impresa italiana. Secondo una recente indagine della Banca d’Italia il fatturato delle imprese si ridurrà del 7% nell’intero 2020, con un calo del 25,8% concentrato nel primo semestre dell’anno. In questo scenario si muove buona parte delle imprese italiane, nella speranza che le esigenze di liquidità a breve termine possano essere soddisfatte il più in fretta possibile.
Il meccanismo delle garanzie statali sui prestiti, tuttavia, non sarebbe stato ben comunicato e adeguatamente recepito dalle imprese, ha affermato Sebastiano Di Pasquale, responsabile per il Wealth Management di Banca Consulia, società attiva anche nella consulenza per le imprese.
“Innanzitutto, c’è stata una grande confusione sull’idea che, nelle misure di sostegno alle imprese, fosse ‘lo Stato a metterci i soldi’. Non è così. Lo Stato, al contrario, ha chiesto alle banche di ‘farsi avanti’, dal momento che queste ultime possono finanziarsi a condizioni di grandissimo favore presso la Bce. Sono le banche, dunque, a prestare, mentre lo Stato ha offerto loro una garanzia sui prestiti erogati”.
Il fatto che le banche possano contare su una larghissima percentuale di garanzia statale è sicuramente vantaggioso per gli istituti, ma questo non basta ad assicurare un flusso di credito istantaneo verso le imprese. Le banche, infatti, si sono trovate di fronte a uno “tsunami di richieste” che le ha viste “assolutamente impreparate” sottolinea Di Pasquale.
Uno spiazzamento che ha riguardato le procedure, i sistemi informatici, con una situazione complicata ulteriormente dallo smart working adottato su larga scala. Senza dimenticare che per i prestiti sopra i 30mila euro una quota di rischio del 10 o del 20% rimane in capo alla banca che eroga il prestito; ciò si traduce in procedure di verifica più complicate e in un allungamento dei tempi per l’erogazione del credito.
“Il grande equivoco è che gli imprenditori italiani si sono ritrovati – ma li capisco e mi metto dalla loro parte – con aspettative irrealistiche sui tempi dell’erogazione, pensando che lo Stato sarebbe intervenuto in loro sostegno in tempi rapidissimi” ha spiegato il direttore del wealth management di Banca Consulia.
I grandi numeri descrivono un’impresa italiana in affanno, ma le eccezioni non mancano e sono più numerose di quanto si pensi, ha raccontato Di Pasquale, che ha intrattenuto numerosi contatti con gli imprenditori dell’area del Nord-Est.
“Esiste una categoria di aziende finanziariamente sana che ha subito impatti limitati dal Covid-19” ha detto a WSI. E ha proseguito: “Queste si trovano in una situazione di poco debito e in questo momento sono alla ricerca di opportunità di sviluppo, per linee interne o esterne”. Secondo Di Pasquale non mancano strumenti in grado di facilitare i processi di crescita delle imprese, anche in una fase apparentemente avversa come quella attuale: “Ad esempio i fondi Pir compliant, i fondi che investono in minibond e i fondi specializzati nelle Pmi italiane che intervengono sia sull’equity sia sul debito. Si tratta di strumenti di medio-lungo termine che lasciano l’imprenditore più tranquillo”.
Fra le altre cose, la crisi indotta dal coronavirus ha riassegnato allo Stato un ruolo quasi salvifico, che pochi ormai sembrano mettere in discussione. Si può dire che imprese e cittadini abbiano quasi preteso un interventismo che fino a qualche mese fa sarebbe sembrato semplicemente impossibile.
Il sostegno straordinario che i governi, incluso quello italiano, stanno dando all’economia appare a tutti inevitabile, ma questo non significa che sarà privo di conseguenze a lungo termine, anche per i risparmiatori. “La tendenza inerziale del debito italiano intorno al 160% è come quella di una macchina lanciata in corsa: impossibile fermarla”, ha detto Di Pasquale, “tale rapporto è evidentemente insostenibile”.
Per il momento, tuttavia, i tassi rimangono bassi, grazie a un programma di acquisti senza precedenti da parte della Banca centrale europea. “Questo mi fa dormire tranquillo fino a un certo punto.
Stiamo dando alla Bce compiti enormi, da missione impossibile, e la stiamo caricando di responsabilità che si potrà prendere fino a un certo punto. Questo schema potrà andare avanti un paio d’anni, ma non possiamo pensare che la Bce diventi una garanzia illimitata dei problemi italiani, greci o spagnoli. Secondo me – ha detto Di Pasquale – i primi nodi verranno al pettine entro la fine dell’anno prossimo”.
Allora, nuove tasse sul patrimonio potrebbero tornare all’ordine del giorno. Lo temono in molti. “Mi sento di escludere nuove strette fiscali nel breve termine; tuttavia, se parliamo di tasse di successione l’Italia è una sorta di paradiso ed è possibile che qui si interverrà in futuro” ha risposto Di Pasquale senza escludere possibili inasprimenti anche sugli immobili. “Giudico, invece, come un’extrema ratio quella del prelievo sui conti correnti” ha concluso.
“Lascia uno stigma indelebile, come quello che ancora affligge Giuliano Amato, che adottò questo provvedimento nel 1992”.
L’articolo integrale è stato pubblicato sul numero di luglio-agosto del magazine Wall Street Italia.