Le elezioni presidenziali americane, un appuntamento che ogni quattro anni monopolizza l’attenzione del mondo, presentano alcune caratteristiche peculiari che rendono, di volta in volta, difficilmente prevedibile l’esito finale.
Il presidente degli Stati Uniti assume una carica che gli affida la gran parte dei poteri esecutivi a livello federale, che vengono contemperati dalla netta separazione del potere legislativo, interamente affidato al Congresso.
Come nei più tipici sistemi presidenziali, non esiste un vincolo fiduciario fra Congresso e Presidente: questi ultimi, infatti, possono essere di colore politico diverso, circostanza che si verifica con una certa frequenza, dal momento che a metà mandato presidenziale, gli elettori eleggono nuovamente la Camera dei rappresentanti (avviene, infatti, ogni due anni).
L’elezione del presidente degli Stati Uniti, contrariamente a quanto avviene in altre repubbliche presidenziali, non è direttamente espressa dai cittadini. L’aspetto peculiare del sistema americano, infatti, consiste nell’elezione di un’assemblea ad hoc, il cui compito sarà, a sua volta, quello di nominare il presidente.
I grandi elettori
I membri eletti in quest’assemblea, nota come US Electoral College, sono i cosiddetti “grandi elettori”: ossia membri che vengono eletti sulla base del proprio sostegno a uno dei candidati alla Casa Bianca. In linea teorica, i grandi elettori non hanno un vincolo di mandato e possono agire come meglio credono una volta eletti. In ogni caso, il “tradimento” della volontà elettorale, di fatto, non si verifica. All’interno dell’Electoral College siedono 538 grandi elettori: per ottenere la vittoria, il candidato alla presidenza deve farne eleggere almeno 270.
Conquistare grandi elettori, significa, nella pratica, ottenere una vittoria nel maggior numero di stati possibile. Per 48 stati su 50, infatti, non importa con quanto margine un partito prevalga sull’altro: chi prende un voto in più, si aggiudica in blocco tutti i grandi elettori che la legge assegna a quello stato. Di norma, più uno stato è popoloso, più numerosi saranno i grandi elettori che fa eleggere e, di conseguenza, il suo peso specifico nell’elezione del presidente.
Le critiche a questo sistema elettorale ricorrono periodicamente. Una vittoria oceanica in un Paese popoloso come la California, ad esempio, può essere controbilanciata da una serie di vittorie di misura in vari stati “minori”. Non può essere esclusa, pertanto, l’ipotesi che il presidente eletto non sia quello realmente più votato, nella sommatoria di tutti gli stati. Eclatante, a tal proposito, è stata la vittoria di Donald Trump su Hillary Clinton nel 2016, nonostante quest’ultima avesse ottenuto quasi 3 milioni di voti in più del rivale.