La crisi dell’economia italiana, causata dalla pandemia da COVID-19, rischia di lasciare il segno anche sulle pensioni, già duramente colpite da anni di tagli.
La ragione va ricercata nella riforma Dini, approvata nel 1995, che lega il montante contributivo (ovvero il denaro che viene annualmente messo da parte dai lavoratori attraverso il versamento dei contributi previdenziali) all’andamento della crescita nominale del prodotto interno lordo degli ultimi 5 anni (il cd. tasso di capitalizzazione). In altre parole se il Pil aumenta, crescerà anche l’assegno pensionistico, ma se scende il valore della pensione si adeguerà.
Pensioni, che cosa è il tasso di capitalizzazione
Per “tasso di capitalizzazione” si intende il tasso di interesse applicato per convertire una somma disponibile al valore attuale ad una somma disponibile ad una data futura.
Considerando che il coefficiente di rivalutazione è legato all’andamento della crescita economica, ne deriva che coloro che nel calcolo si ritroveranno il PIL relativo al 2020, stimato in flessione intorno al 10%, dovranno fare i conti con un valore molto negativo.
Va tuttavia precisato che l’effetto della contrazione del PIL del 202o non interessa i lavoratori che andranno in pensione quest’anno, nel 2021 o nel 2022. L‘ultimo tasso di capitalizzazione pubblicato, quello nel 2019 che riguarda i pensionamenti tra il 1° gennaio 2020 ed il 31 dicembre 2020, infatti, è stato calcolato sulla base della media della crescita nominale del prodotto interno lordo del quinquennio 2013-2017.
Governo pronto ad intervenire
Chi rischia un assegno più leggero sono i lavoratori che andranno in pensione dal dal 1° gennaio 2023 al 31 dicembre 2023. Per evitare questa situazione, la ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo ha annunciato una proposta di legge da inserire in legge di Bilancio per la sterilizzazione degli effetti del calo del Pil sul montante contributivo in modo che non si riduca e non diminuiscano gli importi delle pensioni che saranno liquidate nei prossimi anni.