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CLIMA DA SIFAR

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(WSI) – «Detective Silvio», come lo ha ironicamente ribattezzato Libero sbattendolo in prima col berretto da presidente appuntato, ha confermato che sulla scalata alla Bnl non ha detto ai giudici «nulla di penalmente rilevante». Di più: visto che le Generali tirate in ballo da indiscrezioni avevano diffuso un gelido comunicato negando di aver subito pressioni per scansarsi davanti all’offensiva Unipol, ha aggiunto che la cosa gli era stata raccontata da Tarak Ben Ammar, «che i magistrati possono tranquillamente interpellare». E allo stupore di chi, vedendo la sua requisitoria a «Porta a porta», s’era fatto l’idea che avesse in tasca prove così schiaccianti da inchiodare i vertici dei Ds alla sbarra degli imputati, ha spiegato che si trattava di cose «politicamente rilevanti». Sversate le quali ha tagliato: «Chiuso l’incidente». «Incidente»?

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A parte il fatto che Ben Ammar si era ben guardato dal farsi «tranquillamente interpellare » dai pm l’altra volta che era stato citato su All Iberian, il Cavaliere forse non ha visto i giornali e i tg, Mediaset e Rai, dedicati alle sue accuse. Non aveva invocato per anni «basta alla gogna giustizialista »? Rivendicato il merito di non aver «mai usato la giustizia contro gli avversari politici», mai «usato le intercettazioni telefoniche», «mai usato la tv pubblica»? Assicurato che piuttosto che il grande orecchio che ascoltava tutti «è meglio avere un assassino in libertà»? Sbandierato un garantismo così granitico da spingere Tiziana Maiolo a teorizzare che se anche fosse stato provato il passaggio dei famosi 434.494 dollari dalla Fininvest al giudice Renato Squillante bisognava provare la corruzione visto che «fare e ricevere regali non è un reato»?

Oddio, il premier ha buone ragioni per spartire con gli avversari l’accusa di ipocrisia. È vero che Fassino, pensando che non sarebbero uscite, sfidò retoricamente tutti a pubblicare le intercettazioni. Che la sinistra grida al complotto dopo avere per anni irriso alle identiche urla di dolore a destra. Che suona stonata, in bocca a certi esponenti dell’Unione, la parola «delazione» spesa per marchiare non la pochezza giudiziaria della deposizione del Cavaliere ma la sua stessa scelta di deporre. Per non dire di un titolo dell’Unità di ieri («Il cerchio si stringe attorno allo spione del Giornale») che a parti rovesciate avrebbe mosso all’indignazione certi difensori a tassametro della libertà di stampa.

Merce rara la coerenza, in politica. Che il Cavaliere abbia commesso un passo falso, tuttavia, non lo dicono soltanto le opposizioni ma anche una vecchia volpe dc come Beppe Gargani. Il quale gli aveva suggerito di lasciare che la sinistra si lacerasse nei suoi mal di pancia e di mostrarsi sul serio garantista. Cosa che gli avrebbe risparmiato non solo gli imbarazzi di ieri e le invettive dell’Unione, ma anche il nomignolo appioppatogli dal Foglio di Ferrara. Che dopo avergli rinfacciato mesi fa sussulti di «cialtroneria forcaiola », l’ha ieri immortalato come «l’ispettore Rock». Certo è che mai come oggi, a poche settimane dal voto e mentre i magistrati cercano di capire cosa è esattamente successo nella lunga estate calda e fetida, sarebbe bene che tutti giocassero pulito.

Massimo D’Alema ha parlato di «spionaggio» contro l’opposizione. Parole pesanti. Temerarie, se si dimostrerà che ha torto. Ma in un Paese che nel passato ha visto pezzi deviati dei «servizi» giocare così sporco da lasciare profonde ustioni sulla pelle e nella coscienza della collettività, sarebbe davvero intollerabile scoprire che una premurosa «manina », come quelle del Sifar di un tempo, si sia incaricata di sgocciolare veleni qua e là.

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