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(WSI) – Se nel nostro Paese il clima non fosse stupidamente invelenito dalle beghe politiche e se in politica ci fosse spazio per l’ironia, oggi Silvio Berlusconi e Piero Fassino potrebbero veramente, pur da avversari, cenare cavallerescamente insieme e stringersi la mano.
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Il leader dei Ds ha molti motivi per ringraziare il premier. La migliore campagna pubblicitaria pro sinistra la sta realizzando proprio lui. E i sondaggi – che indicano i Ds e Forza Italia come i partiti leader delle rispettive coalizioni, saldamente in testa nei due schieramenti – parlano chiaro. L’effetto Unipol non c’è stato. Ed entrando a gamba tesa nella vicenda, il Cavaliere ha paradossalmente aiutato i suoi «nemici».
La tesi può apparire paradossale nella solita mente malata dei radical chic, ma per chi si occupa di comunicazione mass market è palese nella sua dirompenza. Ecco i motivi.
Berlusconi, dopo qualche attimo d’incertezza, ha illuminato la vicenda Unipol-Bnl prendendo un’iniziativa comunicazionale senza precedenti. Scegliendo i Ds come propri avversari, li ha posti al centro della comunicazione politica. Il brand «Ds» ha raggiunto vette di esposizione mai viste prima. Gli alleati degli ex Pci sono scomparsi dal dibattito, lasciando che il duello si articolasse tra i due.
Riconoscendo come nemici i Ds, il premier li ha promossi a contendenti. Li ha legittimati. Ottenendo un effetto che neanche il miglior spin doctor avrebbe potuto sperare: ricompattare le fila di un partito territorialmente forte e alimentare lo spirito d’appartenenza, l’attaccamento al brand. Il popolo diessino si è sentito, a suo dire, accerchiato. E ha reagito.
Il capolavoro di de-marketing o marketing negativo (che si è tradotto in promozione pura) è stato raggiunto con l’annunciata visita del premier dai giudici. Non so chi sia stato l’ideatore dell’operazione, ma penso che, sotto sotto, sia un alleato del nemico. Perché? Così facendo il Cavaliere ha reso una vicenda che era nelle mani della Procura di Milano (nell’immaginario collocata a sinistra) un ennesimo episodio del fazioso teatrino politico. Il caso Coop-Unipol è diventato tragicomicamente di parte. La sovrapposizione di Berlusconi con le Procure ha tolto dall’imbarazzo la gauche. Lasciar montare lo scontro tra i due «poteri» di sinistra, giudici e comunisti, sarebbe stato il modo migliore per fare implodere le contraddizioni dell’ Unione. Ma con la sua uscita, Silvio ha evitato che ciò accadesse.
La mancanza di elementi nuovi nella testimonianza del premier ha rinforzato questa sensazione e consolidato le file dei Ds, alimentando nell’opinione pubblica più confusione che chiarezza. La gente si è detta: «Tutto qua? Dove sono le prove portate da Berlusconi?» Fatto sta che per ora lo spostamento dell’opinione pubblica non c’è stato. Addirittura Renato Mannheimer sul Corriere della Sera da il partito che fu di Berlinguer al 23%. Certo, la vicenda Unipol non è ancora finita, ma perché diventi nazional-popolare ci vuole ben altro. Nel frattempo il premier si è rivelato il massimo promotore del brand avversario.
Strano che Berlusconi non abbia calcolato l’effetto boomerang. Eppure in passato di esempi ce ne sono stati tanti. Nell’89, sull’onda del crollo del comunismo, socialisti e democristiani di allora sollevarono una campagna contro Occhetto tutta basata sull’anticomunismo e sui collegamenti fra Pci e Unione Sovietica. A rigor di logica avrebbe dovuto crollare, invece il Pci non solo tenne ma guadagnò in consensi. La scena si ripete nel 2001, ma con protagonisti diversi. Infatti in occasione di quella campagna elettorale la Rai, escogitò la strategia più patetica e autolesionista della storia della comunicazione della sinistra. La scelta di schierare contro la casa delle libertà comici da una parte e Michele Santoro dall’altra, produsse un effetto mai più raggiunto di faziosità, che trasformò il servizio pubblico in un canale di insulti, accuse e invettive a senso unico. Che a sua volta si tradusse in una formidabile campagna pro Cavaliere. Un caso che è già entrato nei manuali di marketing politico con il titolo: «Il modo migliore della sinistra per fare harakiri».
Ora, con Unipol, lo scenario si ripete. In mancanza di elementi nuovi – che certo potrebbero arrivare dalle indagini della magistratura – il giochino della demonizzazione ha fatto gli interessi degli avversari, non portando particolari frutti al presidente del Consiglio.
Che lezione ne può trarre la sinistra? Che la demonizzazione, la faziosità, l’insulto unilaterale, fanno il gioco di chi viene aggredito. E’ una indicazione preziosa che ora l’Unione può capitalizzare, riponendo l’accento del dibattito politico sui contenuti. In questo senso la gestione della Rai sarà di centrale importanza. Trasformare Rai 3 in un fortino della gauche salottiero-radicale ci pare torni a essere una tentazione forte. Il ritorno in video del martire Santoro in piena campagna elettorale non mi pare un’idea, ancorché legittima, di grande strategia politica. La polarizzazione che ne potrebbe scaturire rischia di avere un solo effetto: rifocalizzare l’attenzione su Berlusconi e oscurare i problemi del Paese.
Purtroppo la sinistra televisiva si eccita con i feticci. Ma ieri la notizia, quella che sposta voti, l’ha data il Tg Uno Economia, alle 14.00, un orario in cui l’elite non guarda la televisione. Le zucchine, i peperoni e i finocchi hanno subito aumenti del 50% titolava il giornale leader della Rai. Ma perché i capi dell’unione non ne parlano? Semplice, forse perché troppo spesso inseguono certe paturnie dei salotti, fino a praticare una forma di autoerotismo comunicativo preferendo parlare di «partito democratico o non partito democratico» nel momento in cui il Paese aspetta soluzioni ai suoi problemi. E mentre i soloni dell’Ambra Jovinelli lanciano una grande iniziativa sulla «libertà d’informazione», proprio la notizia sull’aumento di peperoni e zucchine cade nel vacuum assoluto dell’interesse della sinistra. Probabilmente fra gli unionisti non «fa fino» discutere di ortaggi. Forse alcuni di loro in questi anni al mercato non ci sono mai andati.
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