In alcuni segmenti di mercato vediamo dinamiche molto vicine alla bolla delle dot-com del 2000 e questo ci fa essere prudenti, in particolare su alcuni dei così detti long duration equities. Rimaniamo invece positivi sull’equity in generale, e preferiamo settori più tradizionali e che hanno ancora potenzialità da esprimere.
Non c’è solo il growth per investire. Anzi, oggi lo stile growth, che nel 2020 ha regalato le maggiori soddisfazioni, è proprio quello da approcciare con maggiore prudenza. Le valutazioni, in particolare per alcuni titoli, sono molto tirate e difficilmente sostenibili.
Il nostro messaggio è muoversi con estrema cautela su tutti quei titoli attivi in settori molto innovativi e promettenti, ma per i quali sembra oggi contare solo lo storytelling, a discapito di ogni considerazione che guardi agli utili ed ai fondamentali.
Siamo in presenza di una nuova bolla come quella delle dot-com del 2000? Forse è presto per dirlo, ma di certo ci siamo molto vicini, come evidenziato dalle valutazioni. Se confrontiamo i valori del 20% dei titoli più cari con quelli del 20% dei titoli meno cari, si vede che il differenziale valutativo in Europa e in America è arrivato proprio agli stessi livelli del 2000.
Insomma, ci sono tematiche come quella delle criptovalute, della tecnologia e dintorni, delle auto elettriche e delle batterie e dell’energia rinnovabile che stanno catalizzando l’attenzione di un pubblico di investitori retail sempre più vasto.
Con dinamiche che sono riconducibili alla bolla del 2000. Per fare un esempio, oggi come allora tante persone si stanno dedicando al trading come lavoro, attirati dalle performance stratosferica di alcune asset class. Come il bitcoin, che solo nel 2020 ha offerto un rendimento di circa il 300 per cento.
O come Tesla, che ha addirittura messo a segno un balzo superiore al 700%, passando dagli 86 dollari di fine 2019 ai 705 dollari di fine 2020. E poi c’è il trend delle Ipo, con le nuove debuttati che già nel primo giorno di Borsa raddoppiano la loro valutazione, esattamente come accadeva tra il 1999 e il 2000. Ne è un esempio Airbnb, che ha fatto il suo esordio sul Nasdaq lo scorso 10 dicembre, chiudendo le contrattazioni a 144,71 dollari, con un prezzo dell’Ipo fissato alla vigilia a 68 dollari.
C’è tanta euforia sul mercato e questo ci fa essere prudenti. Concentrarsi soltanto su alcuni nomi con la speranza di poter raddoppiare o triplicare il capitale in un mese non è una strategia premiante. Anzi, è molto pericolosa. Non dimentichiamo che nel 2000, quando scoppiò la bolla delle dot-com, ci sono stati titoli che hanno perso fino all’80% come Amazon.
E oggi ci sono tante piccole società che non hanno fondamentali così solidi e che, come successe alla Amazon di allora, potrebbero crollare in Borsa. Nessuno vuol mettere in discussione il potenziale di innovazione e di crescita di alcuni titoli oggi sulla bocca di tutti, come lo era Amazon nel 2000, ma solo ricordare che i tempi di crescita di ogni business vanno rispettati e che le correzioni possono essere molto violente quando le valutazioni raggiungono determinati livelli non più sostenibili.
Questo è il momento di rimanere con i piedi per terra e non farsi prendere troppo dall’entusiasmo.
E soprattutto è fondamentale chiedersi perché si sta investendo: per fare trading o per pianificare?
Nel secondo caso il portafoglio va costruito in base al proprio profilo di rischio-rendimento e in modo tale da essere sostenibile nel medio-lungo periodo. “E in questo senso noi diciamo ancora sì alle azioni, che a oggi sono l’unica asset class in grado di dare valore al portafoglio, ma restiamo ancorati a ragionamenti fondamentali.
Vediamo una ripresa ciclica degli utili che ci fa essere positivi sull’equity, ma puntando su titoli che in termini di valutazioni sono rimasti più indietro nell’anno del Covid e che devono ancora esprimere le loro potenzialità̀ in questa nuova normalità. L’ultra growth, invece, i così detti long duration equity, ci appaiono eccessivamente prezzati e consigliamo prudenza.