UBS WM Italy: politiche monetarie espansive, da cosa dipende il successo
Matteo Ramenghi, Chief Investment Officer UBS WM Italy
Dalla crisi del 2008 in poi le politiche monetarie nelle principali economie avanzate sono state quasi sempre fortemente espansive per contrastare le difficoltà economiche che si sono susseguite nonché ciò che molti economisti definiscono la «stagnazione secolare», ovvero il freno alla crescita economica dovuto all’invecchiamento della popolazione e all’impatto delle nuove tecnologie.
Una politica monetaria espansiva è finalizzata ad aumentare l’offerta di moneta nel sistema economico, per esempio abbassando i tassi d’interesse e immettendo liquidità tramite l’acquisto di titoli obbligazionari per ridurne i rendimenti. I minori costi di finanziamento aiutano Stati, imprese e famiglie riducendo le difficoltà finanziarie e stimolando gli investimenti. Se queste politiche vengono mantenute troppo a lungo possono portare alla formazione di bolle, per esempio nel settore immobiliare.
In alcune aree economiche, tra le quali la zona euro, i tassi d’interesse sono negativi da anni. Si tratta di una situazione eccezionale, da molti economisti definita «repressione finanziaria», perché buona parte del mercato obbligazionario genera rendimenti bassi e inferiori al tasso d’inflazione. Ne consegue quindi una forma indiretta e non esplicita di ridimensionamento del debito. Volendo estremizzare questi concetti, si potrebbe dire che le banche centrali da una parte stanno alleggerendo i bilanci degli Stati e, indirettamente, del settore privato, e dall’altra cercano di stimolare gli investimenti per rilanciare occupazione e domanda.
Il successo di queste politiche dipende da molteplici fattori, in primis le politiche fiscali che, soprattutto in Europa, non sono state sempre allineate a quelle monetarie. L’Italia ha goduto solo marginalmente dei bassi tassi d’interesse perché, causa l’elevato spread, fino a pochi mesi fa presentava costi di finanziamento effettivi ben al di sopra dell’inflazione.
La crisi economica seguita al COVID-19 ha portato a un’impennata dei debiti pubblici e le banche centrali hanno reagito tagliando ulteriormente i tassi d’interesse e immettendo liquidità, con l’effetto di spingere i rendimenti ancora più in basso.
Pur rimanendo su livelli modesti, il tasso d’inflazione dell’eurozona ha registrato un balzo a inizio anno, passando dal -0,3% di dicembre allo 0,9% di gennaio. Un andamento analogo, seppure più sfumato, si registra anche in Italia: le stime preliminari dell’Istat per gennaio registrano un aumento dello 0,2%, rispetto al -0,2% di dicembre. Nel frattempo, le aspettative d’inflazione sono aumentate significativamente negli Stati Uniti.
Mentre le aspettative d’inflazione suggeriscono un certo ottimismo sulla ripresa economica, le banche centrali hanno chiarito che i tassi d’interesse non si muoveranno per qualche tempo e i mercati scontano un tasso di deposito della Banca centrale europea (B0CE) inferiore allo zero per oltre cinque anni.
La combinazione d’inflazione più elevata e tassi bassi determina una diminuzione del potere di acquisto del contante nel tempo. Per questo, gli investitori devono valutare attentamente quanta liquidità detenere: una quota troppo elevata rispetto alle reali esigenze comporta il rischio di subire gli effetti dell’inflazione e perdere potere di acquisto. Inoltre, i tassi di riferimento negativi si trasmettono al sistema finanziario ed è probabile che un numero sempre maggiore di banche trasferisca questo costo ai correntisti. D’altra parte, ogni investitore deve tenere in considerazione le proprie esigenze per evitare di disinvestire durante le fasi di tensione dei mercati.
Una volta accantonate risorse sufficienti a sostenere le spese future, occorre sfruttare le opportunità di rendimento e crescita. Il mercato azionario, affrontato con grande diversificazione, resta il principale motore di crescita. Nonostante le numerose crisi e la volatilità, dal 1998 ad oggi l’MSCI All Country World ha generato una performance media dell’8% l’anno (in dollari), che ha permesso agli investitori di raddoppiare il capitale all’incirca ogni dieci anni.
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