Alla fine Jerome Powell, presidente della FED, lo ha ammesso. La riapertura delle attività economiche Usa potrebbe causare un aumento dell‘inflazione e dell’occupazione. I timori della vigilia si sono dunque concretizzati: l’atteso discorso del numero uno della banca centrale americana, che ieri ha partecipato al Wall Street Journal Summit, ha confermato che la maxi iniezione di liquidità arrivata sul mercato per dare fiato ad un’economia, profondamente colpita dal COVID, darà una spinta ai pezzi, anche se “non è atteso un gran balzo in avanti”.
A nulla sono servite le promesse che la banca centrale Usa sarà estremamente paziente prima di cambiare le sue politiche accomodanti, anche perché l’aumento dei prezzi sarà transitorio.
È bastato che pronunciasse la parola inflazione per innervosire ulteriormente i mercati. Che da settimane, a fronte della prospettiva di un possibile incremento dei prezzi, temono una riduzione dello stimolo monetario prima del previsto.
Inflazione, Fed rimane ferma e partono le vendite
Il risultato è stato che il rendimento dei titoli di Stato statunitensi a dieci anni si è impennato all’1,55%. La scorsa settimana, il rendimento del decennale aveva raggiunto l’1,6%, il massimo da oltre un anno, e aveva chiuso il mese di febbraio con il maggior rialzo mensile dall’elezione alla presidenza di Donald Trump.
Al tappeto anche Wall Street con l’indice Dow Jones che ha chiuso a -1,11% e il Nasdaq a -2,11% mentre lo S&P 500 lascia sul terreno l’1,34%.
Powell ha detto che l’aumento dei rendimenti è “notevole” e che ha “catturato la sua attenzione”, ma che la Fed avrà bisogno di vedere un ampio aumento generale dei rendimenti prima di prendere in considerazione qualsiasi azione. Infine, ha concluso che l’aumento dell’inflazione sopra il target del 2% per un paio di trimestri o più non avrebbe ripercussioni nel lungo periodo.
Abbandonati al loro destino, i mercati hanno fatto decisamente le bizze. Le vendite sono riprese aggressive sul tech, ma in realtà in questa fase hanno convolto quasi tutti i settori (a parte l’energy, per ovvii motivi).
Gli analisti di Anthilia Sgr evidenziano che “sprecare munizioni per proteggere economia e mercati da tassi reali al momento a -0.67% sia un cattivo uso delle risorse della Fed, in particolare a pochi giorni dal varo di un nuovo pacchetto di stimolo da 8/9% del Pil, che ne segue uno di 5 punti meno di 3 mesi fa. Se l’economia deve normalizzarsi, e gli stimoli sono di quelle dimensioni, i mercati si devono rassegnare a tassi nominali – e reali – un po’ più alti. Se questo causa dei round di prese di beneficio su un mercato che era diventato troppo euforico non si può chiedere alla FED di correre ai ripari. Ovviamente se la situazione diventasse pericolosa, il FOMC interverrà”.
Per quanto riguarda gli indici Usa gli analisti evidenziano che dal punto di vista tecnico sia Nasdaq 100 che S&P 500 hanno rotto al ribasso i supporti, il primo confermando il testa e spalle ribassista illustrato ieri.
Adesso la dottrina vorrebbe un pullback verso la neckline e poi una discesa di 1.000 punti circa, che lo porterebbe, con grande eleganza, a intersecare la media mobile a 200 giorni rendendo ancora più scolastico il movimento. Un ritorno sopra 13.000 fa invece fallire la figura e proietta nuovi massimi