Il contenuto di questo articolo esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.
(WSI) – “Baronali e innocui”. Con queste devastanti
paroline Gianni Riotta definisce
gli economisti, con in testa Alberto Alesina,
che in queste agitate settimane post-elettorali
si sono esercitati a elencare i rimedi sicuri
ai malanni dell’economia italiana (Corriere
della Sera, 19 aprile). Baronali e innocui,
a meno che, concede il vicedirettore del
Corriere, gli economisti non si mettano a
spiegare all’opinione pubblica i vantaggi
delle riforme proposte. Baronali e innocui,
a meno che non usino la loro competenza
per suggerire schemi flessibili e originali
che “tenendo conto della squadra Italia, le
permettano di vincere nel campionato globale”.
Le metafore sono un ornamento stilistico
da lasciare ai letterati e a patto che rivelino
in modo fulmineo qualcosa di essenziale.
Le metafore calcistiche, poi, sono la
quintessenza degli stereotipi ammiccanti.
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Ma a parte questo, come dar torto a Riotta?
Come non restare perplessi di fronte alla
moltitudine di editoriali, commenti, interviste
in cui gli economisti si affannano a riempire
l’agenda di politica economica del prossimo
governo? In un altro articolo sul Corriere
della Sera (18 Aprile), Sergio Rizzo ha
ironizzato sulla gara all’“agenda setting” degli
economisti. L’agenda-mania ha contagiato,
oltre al citato Alesina, Giacomo Vaciago,
Mario Sarcinelli, Fiorella Kostoris Padoa
Schioppa, Marcello De Cecco, Tito Boeri,
Ferdinando Targetti, Riccardo Faini, Francesco
Giavazzi (in realtà un precursore dell’agenda-
mania), Piercarlo Padoan, Paolo
Onofri. E sospettiamo che l’elenco sia incompleto.
Ma se il dinamismo degli economisti
appare un po’ compulsivo, anche per
merito dei giornalisti che trasformano un
qualsiasi “addetto ai lavori” in un guru sentenziante,
che altro potrebbero fare in un
momento di discreta confusione politica come
quello che stiamo vivendo?
Secondo Riotta, i guru che si affannano a
dare consigli al futuro governo dovrebbero
fare un esame di maturità e capire che è
troppo facile porgere ricette arcinote. E poiché
anche Gianni Riotta è un po’ compulsivo,
per spiegare cosa dovrebbero fare di
concreto gli economisti ricorre a un’altra
metafora. Quella del medico che se “lasciasse
i farmaci sul tavolo, ignorando se poi
il malato davvero li assume o se è in grado,
per cultura e stile di vita, di seguire la terapia,
non è un bravo medico e non guarisce”.
Questa metafora del medico è proprio interessante
perché, guarda caso, è la stessa che
usa Olivier Blanchard, un collega di Alesina
a Boston (per la verità il primo insegna al
Mit e il secondo ad Harvard), per spiegare i
limiti delle conoscenze degli economisti e
quindi dei loro consigli. Gli economisti, dice
Blanchard, sono come i medici: ormai ne
sanno parecchio su tutte le malattie, ma c’è
ancora molto da imparare. La conoscenza
incompleta su come funziona un’economia e
l’incertezza sugli effetti delle politiche economiche,
e in particolare di quelle macro
che intervengono sul ciclo economico, dovrebbero
consigliare una generale prudenza.
Per la verità gli economisti hanno capito
diverse cose. Ad esempio, hanno smesso di
coltivare l’illusione di regolare l’economia
nel breve periodo cercando di raggiungere
a tutti i costi un obiettivo prefissato, come un
tasso di disoccupazione costante o una crescita
stabile della produzione. Insomma, nella
chiavica del XX secolo è finito tra tante
altre cose anche il “fine tuning”.
Ma il problema
sollevato da Riotta riguarda il nesso
tra politica e politica economica: come si fa
a convincere i politici a prendere decisioni
dolorose e a scontentare i loro elettori che
al prossimo giro potrebbero mandarli a casa?
Se, come riconosce Riotta, le “buone ricette”
sono arcinote e condivise, che altro
dovrebbero fare gli economisti se non astenersi
dal ripetere la litania proprio per evitare
l’irrilevanza e la trombonaggine baronale?
Due consigli anche da questa rubrica
Per cinque lunghi anni le “buone ricette”
sono state lì a portata di mano, alla portata
di un governo che era il più adatto a realizzarle,
tanto da averne inserite alcune nel
“Contratto con gli italiani”, e non è successo
quasi niente.
Come si sa, il problema dell’economia italiana
è la bassa produttività. Per rilanciarla
occorrono varie cose tra le quali la riforma
della piattaforma istituzionale che è decisiva
per il meccanismo della crescita. I tagli
delle tasse, in qualunque forma e in qualunque
dosaggio, sono di grande aiuto. Le risorse?
Alesina propende per ridurre i dipendenti
pubblici. La spesa per stipendi e
salari rappresenta l’undici per cento del pil.
Ma le prestazioni sociali in denaro (ossia le
pensioni) sono quasi il doppio. Si può cominciare
di qui, accelerando e migliorando
la riforma pensionistica introdotta a scoppio
ritardato dal governo uscente. Poi ci sono oltre
trenta miliardi di sussidi alle imprese, il
due per cento di pil. Sbarazzarsene sarebbe
davvero la prima cosa da fare.
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