Società

IL VALZER
DELLE BORSE

Questa notizia è stata scritta più di un anno fa old news

Il contenuto di questo articolo esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – Di fronte alla prospettiva delle nozze tra Euronext (le borse di Parigi, Amsterdam, Lisbona e Bruxelles) e il New York Stock Exchange (Nyse), diversi uomini di governo in Europa, da Chirac a Padoa Schioppa, hanno impugnato il vessillo della “Grande Borsa Europea”, auspicando una fusione tra Euronext e la tedesca Deutsche Borse (Db). Uno scatto di europeismo sbagliato nella forma e nella sostanza. Nella forma, perché le scelte delle società per azioni private (come le Borse, appunto), non spettano ai governi, ma agli azionisti; e quelli di Euronext preferiscono il Nyse.

Hai mai provato ad abbonarti a INSIDER? Scopri i privilegi delle informazioni riservate, clicca sul
link INSIDER

Nella sostanza, perché il bene del mercato europeo dei capitali non dipende dal passaporto degli amministratori delle Borse, o dal numero di poltrone che occupano, ma dalla liquidità dei titoli scambiati, dal grado di innovazione (tecnologia e prodotti), e dal costo delle transazioni tra paesi diversi. L´unificazione della regolamentazione in Europa potrebbe dare un forte impulso allo sviluppo del mercato: ma vi si oppongono i governi, specie quelli che sponsorizzano la Grande Borsa Europea.

Oggi le borse non sono altro che fornitori di servizi tecnologici: di trading (un software che incrocia proposte di acquisto e vendita) e di post-trading (la verifica degli ordini, le istruzioni di pagamento e la consegna dei titoli). Un´industria caratterizzata da forti economie di scala, che spiegano la spinta alle fusioni; ma dove la concorrenza rimane lo strumento migliore per promuovere innovazione ed efficienza. Una fusione tra Euronext e Db non andrebbe in questa direzione: porterebbe alla nascita di un vero monopolio nel mercato europeo dei futures (Eurex più Liffe); a un´unica piattaforma tecnologica per i mercati azionari (quella francese); e lascerebbe a ciascuna borsa il controllo sul proprio post-trading (Lch. Clearnet per Euronext; Clearstream per Db) col duplice risultato di mantenere elevato il costo delle operazioni transfrontaliere (tipo, compra a Parigi, vendi a Francoforte), e di rafforzare il loro dominio nei rispettivi mercati (precludendo così l´accesso ai servizi di post-trading da parte di altri intermediari).

L´opposto del modello americano, dove sviluppo ed efficienza dei mercati hanno tratto enormi benefici dalla concorrenza tra borse azionarie (Nasdaq opposto al Nyse), dalla distinzione tra l´attività delle borse e il post-trading (una sola società opera con più borse e intermediari), dalla separazione tra mercati azionari e dei derivati (Cbot e Cme a Chicago), a loro volta in concorrenza tra di loro. E di quello inglese. Londra ha privilegiato la concorrenza, separando la borsa azionaria (Lse) dai futures (Liffe) e dal post-trading (Lch), anche a costo di vedere queste società cadere in mani straniere; ma è rimasta la principale piazza finanziaria europea. Un altro esempio del famoso “effetto Wimbledon”, che proprio Padoa Schioppa utilizzò per spiegare dalle colonne del Corriere (27/2/05) l´errore della classe politica europea: privilegiare sempre la logica del potere (il “patriottismo economico”, europeo o nazionale) all´efficienza di mercato.

E Borsa Italiana? Mentre il mondo andava verso le aggregazioni internazionali, per anni a Piazza Affari si sono trastullati con un progetto di quotazione che non serviva a nulla (tranne a qualche banca azionista e alle stock option dei manager): perché il problema era, ed è, scegliere con chi fondersi; perché il collocamento di una quota di minoranza non avrebbe offerto indicazioni sul valore di cessione dell´intera società; e perché la sua attuale struttura (integrata verticalmente con futures e post trading) dovrà necessariamente cambiare a seconda dell´acquirente.

A Palazzo Mezzanotte se ne sono accorti solo la sera di giovedì 25 maggio quando il consiglio di amministrazione, appreso dai giornali che il martedì successivo Euronext avrebbe esaminato l´offerta del Nyse, ha congelato la quotazione ed è volato a Parigi per negoziare una fusione con Euronext. Un repentino cambio di rotta che sembra motivato principalmente dall´obiettivo di strappare una poltrona nella nuova aggregazione che si verrà a creare (poco importa se dalla fusione di Euronext con il Nyse, o con Db), e dal “modello federale” di Euronext, che sembra garantire una maggiore indipendenza ai vertici di Borsa Italiana. Questo, prima ancora di aver esplorato se la soluzione francese fosse davvero la migliore dal punto di vista tecnologico, del mercato dei derivati, e delle attività di post-trading.

A questo punto varrebbe la pena aspettare la fine delle danze, conoscere il nome di chi andrà a nozze con Euronext, e la struttura di mercato che si verrà a creare. La partecipazione di Borsa Italiana in Mts (titoli di Stato) potrebbe essere comunque venduta subito a Euronext, che già ne detiene la maggioranza. Per poi negoziare la destinazione di tutte le altre attività, guardando più all´efficienza che non alle poltrone ottenute in cambio.

Copyright © La Repubblica per Wall Street Italia, Inc. Riproduzione vietata. All rights reserved