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UN’ ALTRA BOLLA?YES, L’ ETANOLO

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(WSI) – Il settore dei carburanti alternativi, soprattutto l’etanolo, sta vivendo un periodo di forte boom, in particolar modo negli Stati Uniti. Si tratta però di un comparto ancora in fasce, con precario equilibrio domanda/offerta, enormi rischi legati ai prezzi di diverse commodity e una forte dipendenza dalla politica.

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Chi segue i mercati finanziari ben sa che l’etanolo è diventato negli Usa uno dei settori più discussi e di maggiore impatto mediatico degli ultimi anni. La produzione di etanolo, da mischiare con la benzina al 15%, oppure per alimentare direttamente le automobili “flex-fuel” si è sviluppata inizialmente in Brasile, utilizzando soprattutto zucchero, a partire dagli anni ottanta, tanto da permettere al Brasile di raggiungere l’autosufficienza energetica. Il fenomeno ha cominciato a riguardare negli ultimi anni gli Usa, meno l’Europa più orientata per il momento al bio-diesel, grazie all’enorme produzione nord-americana di cereali. In particolare il mais si è affermato come la materia prima più utilizzata in Usa. Tutto ciò nonostante il relativamente più difficoltoso processo di raffinazione del mais rispetto allo zucchero.

Il prodotto brasiliano viene tenuto di fatto fuori dal ricco mercato nord-americano grazie a un complicato sistema di tariffe, spiega infatti Rona Fried, presidente di Progressive investor: “Alla base del successo dell’etanolo vi sono ragioni politiche, l’attuale amministrazione vuole raccogliere consensi negli stati produttori di mais”. Un parere non molto diverso viene Elif Acar, analista del reddito fisso di Standard&Poor’s: “Senz’altro l’industria dell’etanolo può contare su un gruppo di lobbisti molto valido”. Anche in questo caso, come nelle energie rinnovabili, vi sono pochi titoli a disposizione e la volatilità è ampia. Si tratta di un nuovo comparto finanziario che sta nascendo in pratica in questi ultimissimi anni sotto gli occhi degli investitori, sia sul mercato azionario che obbligazionario.

Sempre Elif Acar ricorda che: “Le società di questo comparto hanno cominciato a emettere obbligazioni molto di recente, attualmente noi copriamo con un nostro rating 5 emissioni per un totale di 780 milioni di dollari. Vi sono molte altre obbligazioni in giro, i cui emittenti hanno però deciso di non avere un rating”. La crescita è impetuosa, vi è però da dire che Standard&Poor mantiene un giudizio su queste security di B, altamente speculativo. Le ragioni sono tante, innanzitutto l’uso della leva è piuttosto elevato, anche nell’ambito del project financing. Generalmente il rapporto debt/equity si posiziona intorno al 70%-80%, anche se di recente sempre più società stanno ricorrendo ad Ipo per raccogliere capitale.

Alla base del ragionamento di Acar vi sono alcune incertezze oggettive che sono destinate a pesare sul futuro dell’industria dell’etanolo. Innanzitutto allo stato attuale l’industria dipende ancora pesantemente dai sussidi federali: i raffinatori ricevono un credito fiscale di 51 centesimi a gallone di etanolo, visto anche che in tempi rapidi dovranno smettere di utilizzare come additivo Mtbe, altamente inquinante. Questo sussidio scade nel 2010, è difficile oggi prevedere se verrà rinnovato oppure no.

Certo, fa notare sempre Acar, con gli attuali prezzi delle benzina sul mercato americano, che all’ingrosso sono largamente superiori ai 2 dollari al gallone, l’industria potrebbe trovare una sua ragione d’essere anche senza sussidi. È difficile però prevedere quale possa essere il prezzo minimo della benzina che permetta al comparto dell’etanolo di rimanere competitivo senza aiuti federali. Standard&Poor’s fa notare che se si osservano i dati si vede come il cosiddetto crush dell’etanolo (cioè la differenza fra i costi di mais e gas naturale, che costituiscono circa il 70%-80% dei costi dei produttori) sia praticamente sempre stato inferiore a 51 centesimi di dollaro fra il 1994 e il 2004,e sia ritornato negativo anche nel secondo trimestre del 2005, quando vi era stato un temporaneo calo dei prezzi dl carburante. Elif Acar fa notare come le obbligazioni con scadenza successiva al 2010 incorporino un maggiore rischio.

Inoltre sempre Acar evidenzia il fatto che questo compatto è estremamente esposto al prezzo di fluttuazione delle commodities da più lati senza reali possibilità di hedging. Infatti il prezzo dell’etanolo è altamente correlato a quello della benzina, che vanta un contratto future estremamente liquido quotato al Nymex, dove è disponibile anche un future sulla miscela benzina/etanolo.

La correlazione non è però perfetta, il contratto lanciato qualche anno fa dal Cbot sull’etanolo stesso ancora presenta una liquidità molto limitata. Inoltre il segmento è esposto all’andamento dei prezzi del mais, che di recente stanno denotando tensioni rialzisti, oltre che degli input utilizzati nella produzione, in particolar modo il gas naturale. Giustamente fa notare Acar che tutte queste commodities hanno pochissima correlazione fra di loro, esponendo l’investitore a rischi potenzialmente abbastanza elevati su entrambi i lati. Inoltre diventa difficile e molto costoso per un’azienda del settore fare hedging sul mercato futures con un orizzonte temporale superiore ai sei mesi.

Il settore presenta inoltre poche barriere all’entrata: una nuova raffineria può venire costruita in meno di un anno, anche se attualmente i tempi sono più lunghi a causa della forte domanda di nuovi impianti. D’altro canto le leggi americane prevedono che tutte le benzine prodotte contengano una determinata quota da fonti rinnovabili, sul mercato americano l’etanolo sembra avere preso un forte vantaggio sul biodiesel, il problema è di riuscire a non sbilanciare troppo l’equilibrio domanda/offerta. Infatti attualmente ci sono 97 raffinerie in America in grado di produrre circa 4 miliardi di barili, è in costruzione capacità addizionale per altri 2,2, offerta che dovrebbe entrare sul mercato entro il 2008. Sempre secondo studi compiuti da Standard&Poor’s però ciò dovrebbe superare abbondantemente la domanda nazionale di additivi.

Infine vi è un problema che riguarda tutti carburanti prodotti da derrate agricole: il limite alla produzione dovuti ai vincoli naturali dei terreni. Per il momento con circa il 10%-12% della produzione di mais statunitense dedicata all’etanolo il problema non si pone, in futuro le cose potrebbero cambiare. Secondo Alex Ricchebuono di Janus: “ Difficilmente i motori flex fuel, che possono bruciare una miscela fino all’85% composta da etanolo si affermeranno a causa dei problemi di inquinamento che provocano se gli impianti di filtraggio non vengono sottoposti ad adeguata manutenzione”. Rona Fried invece punta su problemi a lungo termine dovuti al dover incrementare la produzione di mais: “ Lo sforzo energetico per produrre mais diventerebbe molto elevato, ancor più se gli Stati Uniti diventassero un importatore netto di tale risorsa, con tutti i costi connessi al trasporto”. I problemi sono simili anche per il biodiesel e qualsiasi altro carburante “agricolo”.

Per fare decollare i carburanti alternativi si aggiungono anche i problemi relativi all’upgrading della rete distributiva esistente. Sempre per quanto riguarda l’etanolo sul mercato Usa, sempre Standard&Poor’s calcola che per il decollo di autovetture flex fuels la miscela dovrebbe essere presente in almeno 34000 delle 170mila pompe di benzina del Paese. Attualmente questo tipo di prodotto si trova in circa 600 stazioni. La ricetta di Ricchebuono punta invece sul miglioramento delle tecnologie “ibride” che abbinano alimentazione a benzina e ad elettricità: “ In questo caso sarebbe anche molto più facile risolvere i problemi di rete distributiva, si potrebbe aggiungere facilmente un generatore elettrico alle pompe di benzina”. Anche in questo caso comunque emergono due chiari elementi: la difficoltà di uscire dalla dipendenza dal petrolio, e l’importanza del gas come combustibile fossile alternativo. Forse per giocare questo trend vale la pena di tornare a guardare ai prezzi, peraltro relativamente depressi di questa commodity, come il combustibile fossile del futuro.

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