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TESTIMONI
DELL’ ANTIDECLINO

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(WSI) –
Secondo il Wall Street Journal, la Germania dopo un periodo di stagnazione è ora in una robusta ripresa guidata dal commercio estero perché in questi anni la sua industria ha attuato un’intensa trasformazione che ne ha accresciuto la competitività internazionale, mediante riorganizzazioni e taglio dei costi, anche grazie a un’accresciuta flessibilità del lavoro, orari prolungati e incrementi salariali molto limitati. Le esportazioni tedesche crescono e, finalmente, aumenta l’occupazione. Questo stimola la domanda interna.

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Sempre secondo il giornale finanziario americano, un analogo processo di ristrutturazione è stato attuato con successo dalle industrie di Francia e Italia (e in altre parti dell’area euro), sebbene con un processo che non è andato così a fondo come quello tedesco riguardo al taglio dei costi e alla modifica delle prestazioni lavorative. Pertanto, l’Europa ha ritrovato la forza economica che aveva agli inizi del 2000 e che aveva perso successivamente.

Con l’impulso di queste tre economie, quest’anno l’Europa dell’area euro avrà un tasso di crescita del prodotto interno lordo del 2,2 per cento. Non così elevato come quello attuale degli Stati Uniti, ma sufficiente per dare all’economia mondiale una spinta compensativa della decelerazione che nella seconda parte del 2006 riguarderà l’economia statunitense. Dunque, non siamo soltanto noi a sostenere che l’economia italiana non è in declino, ma è vitale e sta effettuando un positivo processo di ristrutturazione analogo a quello tedesco.

Semmai, si può notare l’insistenza dell’editorialista americano Marcus Walker sull’importanza della ristrutturazione del fattore lavoro, che – secondo la sua valutazione – è stata attuata in maggior misura in Germania che in Francia e in Italia. E’ vero che la legge Biagi è stata adottata soprattutto nei servizi e nelle imprese minori, mentre nelle nostre grandi imprese non ci sono stati i mutamenti che le industrie tedesche sono state capaci d’attuare. Forse questo aiuta a spiegare perché la parte più dinamica della nostra economia, anche rispetto al commercio internazionale, risulta essere ancora quella delle piccole e medie imprese.

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