Ftse Mib, i target Esg pesano sempre di più sugli stipendi dei Ceo
Per gli amministratori delegati delle società del Ftse Mib la componente fissa della retribuzione si è ridotta ulteriormente, in favore, soprattutto, della parte variabile vincolata al raggiungimento degli obiettivi a medio-lungo termine (che sale dal 38 al 42% del pay mix). E fra i target di lungo periodo, la sostenibilità ricopre un ruolo di primo piano.
Lo ha messo in luce la nona edizione dello studio Mercer sui compensi dei Consigli di Amministrazione delle società appartenenti all’Indice FTSE MIB.
Il 79% delle aziende incluse nell’analisi, infatti, presenta almeno un indicatore ESG all’interno dei propri sistemi incentivanti di breve termine; l’anno scorso erano il 69%.
Sale al 53%, inoltre, la percentuale delle aziende del Ftse Mib che presentano almeno un indicatore ESG all’interno dei sistemi incentivanti di lungo termine, dal 44% dello scorso anno. Aumentano, infine, le aziende che prevedono Comitati aventi funzioni esclusivamente correlate a Sostenibilità ed ESG, dal 28% del campione dello scorso anno al 42% attuale.
“Dal nostro osservatorio” ha dichiarato Marco Valerio Morelli, Amministratore Delegato di Mercer Italia “Siamo lieti di notare un decisivo orientamento delle grandi aziende italiane nei confronti della sostenibilità intesa come percorso strutturato di medio-lungo periodo”.
“La parte variabile dello stipendio dei CEO” aggiunge Morelli “diventa dunque una leva strategica per le aziende che intendono perseguire con serietà e decisione chiari obiettivi di crescita valoriale, oltre che di profitto”.
ESG: la parità di genere ai “piani alti” delle aziende
Resta ancora molta strada da fare, invece, per bilanciare la rappresentanza di genere ai livelli più alti delle amministrazioni societarie. Fra le imprese del Ftse Mib solo il 16% dei dirigenti di prima linea, che riportano direttamente all’ad, sono donne. Circa il 50% delle imprese osservate, poi, inserisce nei propri sistemi incentivanti obiettivi di diversity&inclusion.
“Non si tratta solo di attenersi a regole che presto diventeranno obbligatorie”, conclude Morelli, “come la messa in chiaro del divario salariale tra uomini e donne, ma di evolversi verso un modello di gestione equa delle risorse, per favorire la diversità e, conseguentemente, l’equità, la soddisfazione degli stakeholder e, in ultimo, la buona salute delle aziende italiane”.