Dopo 15 mesi circa di rialzi, in alcuni casi molto significativi, dei mercati globali, diversi osservatori si chiedono per quanto possa ancora proseguire questo rally. Risulta sempre più evidente che i quattro fattori che hanno sostenuto i mercati azionari di fronte alla pandemia sono sempre più vicini al raggiungimento di un picco.
Picco delle dinamiche di crescita: nel quadro del boom post-pandemia, dalla scorsa primavera diversi dati economici, come gli indici dei responsabili degli acquisti, evidenziano livelli record, e in molti casi i tassi di crescita annui risultano tuttora decisamente elevati rispetto alla primavera del 2020, quando tutto era fermo. Ci aspettiamo una crescita ancora solida e superiore al trend degli ultimi anni, ma è probabile un progressivo rallentamento. Una simile evoluzione è già visibile in particolare negli USA.
Picco degli stimoli: più decisa è la ripresa economica, più elevate sono le probabilità che gli stimoli fiscali e monetari vengano messi in discussione. Dopo gli aiuti senza precedenti e i deficit record del 2020, quest’anno si registra una progressiva diminuzione dell’impulso delle misure fiscali alla crescita globale, soprattutto al di fuori degli Stati Uniti. Inoltre, alcune autorità monetarie hanno iniziato a tirare il freno, seppur con estrema cautela: segnaliamo tra le altre le banche centrali di Canada e Regno Unito che hanno operato una riduzione dei programmi di acquisti di asset, mentre in Brasile e Turchia si è assistito ai primi rialzi dei tassi. Di recente anche la più importante banca centrale al mondo, la Federal Reserve, ha lasciato intendere che nel corso dell’anno valuterà un adeguamento del suo programma di acquisto di obbligazioni, estremamente generoso.
Picco dell’inflazione: il rapido esaurimento dei timori di deflazione nell’ultimo anno, confermato ad esempio dalle maggiori attese di inflazione sui mercati obbligazionari, ha sostenuto le azioni in quanto asset reali. Ora il tasso di inflazione appare orientato al rialzo: negli ultimi mesi il significativo rincaro di materie prime e trasporti, così come i colli di bottiglia sul fronte dell’offerta, amplificati dalla domanda al consumo repressa, hanno innescato un’impennata dei prezzi. La dinamica dei prezzi di materiali edili, auto a noleggio, biglietti aerei e ristoranti dovrebbe comunque rallentare. In tal caso le banche centrali avranno il margine necessario per modulare le misure di supporto.
Picco dell’ottimismo: i tassi ai minimi storici e l’ampia liquidità presente nel sistema hanno alimentato la propensione al rischio di molti investitori, che si attesta ora su livelli elevati rispetto alla norma. La flessione dei prezzi, ad esempio nel caso delle criptovalute o delle società tecnologiche non redditizie, lascia presagire che in questi trend il punto di massimo potrebbe essere già stato superato.
Nonostante i diversi picchi all’orizzonte, nel medio periodo il contesto per i mercati finanziari dovrebbe confermarsi favorevole, anche in caso di una parziale decelerazione dell’attuale momentum di boom sulla crescita, e di una graduale riduzione di misure di stimolo eccezionali. Durante la discesa dalla cima potremmo comunque essere sorpresi da qualche temporale estivo.
Allocazione tattica azioni e obbligazioni
Il boom post-pandemia prosegue. Negli USA in particolare il momentum sulla crescita è ormai prossimo al picco, mentre in Europa occorrerà ancora qualche mese. In Asia i dati appaiono eterogenei poiché in diversi Paesi la campagna vaccinale procede più lentamente che nei Paesi industriali occidentali. In Cina il settore dei servizi è in ripresa ma i consumi interni sono ancora modesti.
L’accelerazione economica e la presenza di una domanda repressa da un lato, e le strozzature sul fronte dell’offerta dovute alla pandemia dall’altro, hanno spinto i tassi di inflazione globali oltre le attese. Tale situazione potrebbe perdurare più a lungo del previsto, ma probabilmente il rialzo dell’inflazione sarà in larga misura transitorio. Sui mercati obbligazionari regnerà ancora il nervosismo, mentre le prospettive a medio termine per l’azionario restano incoraggianti, anche alla luce del solido momentum sugli utili.
In qualità di banca centrale più influente al mondo, la Federal Reserve si trova ad affrontare un esercizio di equilibrio: il nuovo obiettivo di inflazione media prevede che i tassi inferiori al target nel corso della pandemia saranno compensati da tassi superiori al 2% negli anni successivi, ma la Fed dovrà fare in modo che le attese inflazionistiche restino ancorate. Nei mesi a venire tale situazione potrebbe essere un importante driver della volatilità sui mercati.
Su scala mondiale i flussi di capitali nei fondi azionari dovrebbero confermarsi solidi, mentre nei fondi obbligazionari e del mercato monetario c’è tuttora un’abbondante liquidità in attesa di essere impiegata.
Azioni
Nel breve periodo il superamento dei quattro picchi potrebbe frenare momentaneamente il rally azionario. Tuttavia, le prospettive a medio termine dovrebbero confermarsi positive poiché, anche in caso di rallentamento, nel secondo semestre la crescita resterà probabilmente superiore al livello tendenziale. Inoltre, per il momento le banche centrali dovrebbero procedere con grande cautela alla riduzione degli stimoli.
Considerando il ciclo azionario iniziato all’apice della crisi nella primavera del 2020, sulle principali borse mondiali l’assetto di forte ripresa iniziale ha lasciato ormai il posto a un regime di metà ciclo. In tale fase, di norma, i corsi azionari sono influenzati soprattutto dal momentum sugli utili, ma non si esclude un ulteriore ampliamento dei multipli di valutazione.
A livello di area geografica, nelle prossime settimane l’azionario europeo potrebbe distinguersi in positivo: il picco della crescita economica è atteso più tardi rispetto agli USA e sul fronte delle vaccinazioni si potrebbe recuperare parecchio terreno rispetto agli Stati Uniti. Per ora la BCE non intende ridimensionare la politica espansiva. Le prime tranche del “Recovery Fund” potrebbero essere investite nel secondo semestre.
Le valutazioni azionarie sono aumentate, soprattutto negli Stati Uniti. Tuttavia gli utili societari, al momento in forte crescita, dovrebbero determinare una graduale riduzione degli alti rapporti prezzo/utile.
Nel medio periodo le oscillazioni più forti dei tassi di inflazione e la conseguente incertezza circa il corso della politica monetaria potrebbero pesare sulle valutazioni azionarie.
Obbligazioni
Di recente si è registrata una certa instabilità sul fronte obbligazionario, in particolare sul mercato USA. Oltre all’incertezza circa le tempistiche del tapering (riduzione dei consistenti acquisti di asset) da parte della banca centrale, sorgono dubbi sulla traiettoria della crescita negli Stati Uniti e sulle prospettive di inflazione a medio termine. Alla base di tutto vi è comunque un solo interrogativo: “Quanto a lungo la Federal Reserve tollererà il surriscaldamento dell’economia USA?”. In tale contesto, è probabile un aumento dei rendimenti dei titoli governativi USA nel corso dell’anno.
Dopo la riunione di giugno, il Presidente della Fed Jerome Powell ha segnalato che il confronto circa gli acquisti di obbligazioni in seno al Comitato di politica monetaria è già iniziato. La banca centrale mantiene piena flessibilità nello stabilire quando si saranno verificati “progressi sostanziali” sufficienti sul mercato del lavoro. Noi confermiamo le nostre previsioni: intensificazione del dibattito sulla riduzione degli acquisti di asset a fine estate 2021 ed effettivo avvio del tapering a partire da inizio 2022.
In giugno la Banca Centrale Europea (BCE) ha mantenuto invariati i volumi di acquisti settimanali nell’ambito del PEPP (Programma di acquisto per l’emergenza pandemica), ampliati in primavera. Anche se in questi mesi l’inflazione dei prezzi al consumo dovesse superare il target della BCE, l’economia dell’Area Euro è ancora ben lontana dal surriscaldamento e con ogni probabilità passeranno ancora alcuni trimestri prima della chiusura degli output gap. Qualora il trend di aumento dei rendimenti dovesse prendere slancio, i tassi delle obbligazioni dell’Eurozona non saranno del tutto immuni.
A livello globale la divergenza tra le politiche monetarie è sempre più netta: alcune banche centrali hanno già inasprito i tassi (p.e. in Brasile, Russia e Turchia) e altre dovrebbero seguirne l’esempio, anche nei Paesi avanzati (p.e. in Norvegia).
Nel quadro della ricerca di rendimento, la domanda di obbligazioni high yield dovrebbe rimanere sostenuta, mentre i bond investment grade dovrebbero continuare a beneficiare dei consistenti acquisti delle banche centrali. Poiché i premi sui tassi (“spread”) in ottica storica sono bassi, il maggiore rendimento rispetto ai titoli governativi dovrebbe derivare in particolare dal livello più elevato dei tassi correnti (“carry”).
Valute
In un contesto caratterizzato da una maggiore propensione al rischio e da un’accelerazione della crescita globale, vi è tuttora margine per un nuovo lieve deprezzamento del dollaro USA. Inoltre, gli stimoli fiscali supplementari dovrebbero incrementare ancora il deficit di bilancio negli Stati Uniti e dare slancio all’inflazione interna, un’evoluzione storicamente sfavorevole alla divisa.
Numerose banche centrali dei Paesi emergenti (p.e. in Brasile, Russia e Turchia) hanno già avviato l’inasprimento dei tassi di riferimento e altre autorità monetarie dovrebbero seguire il loro esempio. Diverse banche centrali dei Paesi emergenti (tra cui quelle di Turchia, Brasile e Russia) hanno invece iniziato ad alzare i tassi ufficiali, e altre lo faranno a breve.
In base al nostro Emerging Markets Diffusion Index, gli adeguamenti dei tassi di riferimento in marzo/aprile risultano nel complesso positivi per la prima volta da inizio 2019. Tali interventi dovrebbero contrastare le pressioni inflazionistiche, ma potrebbero non essere sufficienti a contenere i rischi di ribasso sulle rispettive valute.
In tale contesto appare giustificato un posizionamento più selettivo relativamente ad un calo del dollaro USA, ad esempio rispetto al dollaro australiano, al dollaro canadese o alla corona norvegese. Quanto alle divise dei Paesi emergenti la preferenza va, tra le altre, al peso messicano (esposizione alla crescita USA) e al rublo russo (esposizione alle materie prime, valutazione interessante, vantaggi in termini di tassi di interesse). Il renminbi cinese presenta tuttora prospettive moderatamente positive, ma dopo la performance dell’ultimo anno scambia su livelli prossimi al fair value a lungo termine.
Materie prime
Dopo il forte rally nel corso dell’anno, di recente diverse materie prime hanno evidenziato una battuta d’arresto nel quadro del trend reflazionistico. Tale andamento è ascrivibile essenzialmente a prese di profitto, dato che la crescita globale dovrebbe confermarsi solida e l’offerta di numerose commodity, in particolare metalli, dovrebbe essere ancora limitata da alcune strozzature.
Alla luce della progressiva normalizzazione dell’attività economica sottostante, si registra un netto aumento della domanda di petrolio non solo negli USA, ma anche in Europa. Il rincaro dell’oro nero tuttavia dovrebbe essere contenuto per via delle elevate scorte a livello mondiale e della capacità produttiva di greggio in eccesso. A tal proposito l’OPEC e i Paesi produttori associati (OPEC+) rivestiranno un ruolo fondamentale.
In ultima analisi, in un contesto caratterizzato da una solida crescita e dal calo dell’avversione al rischio dovremmo assistere al rialzo dei rendimenti reali. Una simile evoluzione potrebbe avere effetti negativi per l’oro, considerato un bene rifugio.
In generale, il deprezzamento dell’USD di norma sostiene le materie prime, che sono quotate in dollari e quindi vengono scambiate a prezzi più elevati.
Tema di investimento: #FinanceForFuture e ESG
Il 22 agosto 2020 cadeva l’“Earth Overshoot Day” secondo i calcoli del Global Footprint Network. In tale data la biocapacità consumata supera quella prodotta dalla Terra per l’anno in corso. In breve, ci ricorda che viviamo al di sopra dei nostri mezzi.
La Banca europea per gli investimenti (BEI) stima che l’Unione Europea dovrebbe investire dai 175 ai 270 miliardi di euro l’anno per raggiungere tre importanti obiettivi climatici ed energetici entro il 2030: riduzione delle emissioni di CO2 del 40% rispetto ai livelli del 1990, riduzione dei consumi energetici di un terzo rispetto al livello attuale in uno scenario “business as usual” e copertura del fabbisogno energetico con energia da fonti rinnovabili per almeno il 32%.
Raggiungere simili volumi di investimento non è un’impresa impossibile. I 3.038 sottoscrittori dell’iniziativa PRI (Principles for Responsible Investment), che amministrano complessivamente 103.000 miliardi di dollari USA, si sono impegnati a prendere decisioni di investimento basate sui principi ESG.
Sempre più fondi di investimento integrano i criteri ESG. Quindi gli investimenti sostenibili sono ormai alla portata di tutti. Questo è #FinanceForFuture