Società

LA LATITANZA
DEL CAPITALE

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(WSI) –
Contrordine, azionisti Telecom: la parola «incorporazione» con la quale, poco più di un anno fa, l´assorbimento di Tim vi era stato presentato come la soluzione miracolosa di tutti i vostri problemi va oggi sostituita dalla parola «scorporo». Questo in estrema sintesi il senso della comunicazione ufficiale fatta ieri dai vertici dell´azienda a conferma, purtroppo, delle anticipazioni che ormai circolavano da settimane.

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Se ne sono viste davvero di tanti colori nei più recenti anni di vita del grande gruppo telefonico, ma questa inversione di rotta a 180 gradi in così breve tempo non può che lasciare sconcertati.

Tanto che l´unica cosa che, viceversa, non meraviglia sono i pesanti giudizi espressi da primari osservatori internazionali come Morgan Stanley o S&P. Se quest´ultima si limita a preannunciare «implicazioni negative» sulla nuova valutazione dei debiti Telecom, la Morgan parla di svolta che mette «a rischio la reputazione» di chi guida l´azienda. Così mettendo il dito sulla vera piaga della vicenda, che riguarda non tanto i problemi economici dell´impresa quanto i guai finanziari del suo attuale gruppo di controllo.

Leggere TELECOM: RIASSETTO IN 6 MESI, DUE NEWCO PER RETE E TIM

Molto probabilmente la Consob ieri ha sbagliato a sospendere dalle contrattazioni in Borsa soltanto il titolo Telecom e non anche quelli collegati alla struttura proprietaria del medesimo. Ma questa svista dell´Autorità di controllo su Piazza Affari ha avuto almeno un pregio: quello di rendere chiaro e palese, in forza dei robusti rialzi messi a segno della catena Pirelli, che il significato più profondo dell´operazione annunciata va colto soprattutto nei benefici che la svolta potrà portare – a monte di Telecom – nei bilanci di chi aveva in carico i titoli della società ad un valore non lontano dal doppio delle quotazioni degli ultimi mesi. A che cosa, infatti, può preludere il ritorno ad uno scorporo della rete mobile di Tim, la gallina dalle uova d´oro del gruppo, e il dichiarato proposito di una sua «valorizzazione»? A che cosa, se non ad una cessione della medesima per fare cassa?

Il caso Telecom torna così ad essere la metafora delle tante debolezze dell´imprenditoria domestica e di una in particolare: la latitanza del capitale di rischio. Tallone d´Achille storico che ha già portato negli ultimi decenni l´Italia a perdere primati in campi produttivi strategici: quali chimica, farmaceutica, elettronica. Ora il rischio si apre anche per il settore della telefonia mobile che pure è stato uno fra i più trainanti e redditizi negli ultimi anni. E questa bella impresa si deve ai «capitani coraggiosi» che si sono avvicendati attorno a Telecom.

Dapprima s´è visto il gruppo di Colaninno e soci liberarsi di Omnitel per dare la scalata a Telecom, ora sembra incombente il progetto di Tronchetti & C. di cedere Tim per lanciare la medesima Telecom in una nuova grande avventura multimediale. Ma davvero potrà essere il magazzino mediatico di Mr. Murdoch a schiudere un luminoso futuro a un´azienda che appare ormai condannata a dimagrire per alleviare i debiti suoi e dei suoi azionisti? Come sentenzia asetticamente Morgan Stanley, la creazione di valore non risulta garantita da operazioni di ingegneria finanziaria. E di questo, di questo soltanto, per ora si tratta.

A chi segue le peripezie del capitalismo italiano non può, infine, non dispiacere un altro aspetto particolarmente increscioso di questa storia: il fatto che vi sia coinvolto uno dei nomi più gloriosi dell´industria nazionale.
Quel nome Pirelli che ha rappresentato la prima impresa davvero multinazionale nel panorama domestico e che è risultata l´unica grande azienda del tutto estranea al fango di tangentopoli. Eccezione dovuta ad una tradizione di etica imprenditoriale – da ultimo impersonata da Leopoldo Pirelli – che si dura fatica a ritrovare nelle cronache degli ultimi tempi.

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