Fisco e Tasse

Riforma catasto allo studio, rischio Imu più cara. Ecco dove (PODCAST)

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Nonostante le tasse e la riforma del catasto che da anni incombe sui risparmiatori italiani il mattone è da sempre in cima alla lista di desideri. Un rapporto di Bankitalia ha rivelato che  i proprietari di immobili in Italia sono 25, 5 milioni quindi la percentuale di proprietari di case è pari a quasi il 73% contro il 51,9% dei tedeschi abita in casa di proprietà, la quota in Francia arriva al 63,5%.

 

Riforma del catasto: cosa potrebbe cambiare

Recentemente il ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) guidato da Daniele Franco ha inviato alle Agenzie fiscali (Entrate, Riscossione, Demanio e Dogane) l’Atto di indirizzo 2021-2023, in cui si raccomanda di “presidiare la qualità e la completezza delle banche dati catastali”, con un “costante aggiornamento dell’Anagrafe immobiliare integrata”.

Obiettivo dichiarato è far emergere gli immobili non dichiarati, attribuendo ad ogni immobile caratteristiche corrette, verificando dimensioni, posizione geografica, quotazioni di riferimento, titolari di diritti e quote. Le informazioni vanno usate, si legge sempre nel documento del Mef, “integrando le banche dati immobiliari con le informazioni desunte dalla dichiarazione dei redditi, anche nell’ottica di una più equa imposizione fiscale”.

Molto spesso accade che il valore di mercato di un immobile non coincide con quello catastale. Le rendite catastali difatti fotografano il mercato di fine anni ’80 e da allora ci sono città e quartieri in cui i prezzi sono cresciuti o diminuiti per questo si è resa necessaria una riforma.

Un’elaborazione de Il Sole 24 Ore in collaborazione con Nomisma ha confrontato il valore catastale medio di abitazioni in categoria A/2 e A/3 (il 79% del totale) e le quotazioni medie di fine 2020 per un appartamento di 90 metri quadrati ad uso civile, scoprendo che ad esempio avere una casa ad Imperia è meno costoso che averla a Pordenone. Nella prima si paga l’Imu su un valore catastale medio di 73.600 euro a fronte di un valore di mercato di 202mila euro, mentre a Pordenone  si viene tassati su 125.300 euro, mentre il prezzo si ferma sotto i 90mila euro.

Così dall’incrocio tra imponibile Imu e prezzi di mercato emerge che sui 103 capoluoghi di provincia italiani, ce ne sono dieci in cui il prezzo medio di mercato scende sotto l’importo figurativo fiscale. Pordenone per l’appunto ma anche Alessandria, Taranto, Mantova e Viterbo. Altri nove, tra cui Venezia e Milano, hanno invece un rapporto superiore a due e sono, per così dire, i più “avvantaggiati” dal catasto.

Padova inoltre è penalizzata anche da rendite catastali tra le più elevate d’Italia, superate solo da Siena e Roma.

In sostanza quindi accade che nelle città in cui il valore catastale supera quello di mercato, il proprietario paga l’IMU in media superiore al prezzo di mercato del proprio immobile e succede più di frequente in piccole città o in periferia. All’opposto, ci sono poi capoluoghi – questo è anche il caso di grandi città come Milano e Venezia – dove nonostante l’impatto della crisi da Covid-19, il valore di mercato è superiore a quello catastale.

Ecco perché urge una riforma anche se è dal 2015 che se ne parla e recentemente anche nelle “Raccomandazioni specifiche per Paese” del 2019 della Ue citate nel Pnrr, suggeriscono una “riforma dei valori catastali non aggiornati“.

Imu sugli immobili: quanto costa avere una casa

Come appena visto avere un immobile di proprietà significa far fronte alla tassazione dedicata. In primo luogo l’Imu, la tassa sugli immobili che ha sostituito la vecchia Ici. L’Imu non si paga sull’abitazione principale tranne quando sia classificata nella categoria catastale considerata di lusso o di pregio, nel dettaglio la categoria A1, A8 e A9, ville, palazzi storici e di pregio.

Come ha reso noto l’ultimo rapporto IMU redatto dalla Uil servizio lavoro, coesione e territorio, considerando l’acconto versato lo scorso 16 giugno, i proprietari di immobili hanno versato 9,8 miliardi di euro per un gettito complessivo annuo di 19,6 miliardi di euro. Il costo medio complessivo dell’IMU su una “seconda casa”, ubicata in un capoluogo di provincia – spiega Ivana Veronese, Segretaria Confederale UIL – è di 1.070 euro (535 euro da versare come acconto di giugno) con punte di oltre 2 mila euro nelle grandi città.

Chi possiede una seconda pertinenza dell’abitazione principale della stessa categoria catastale (cantine, garage, posti auto, tettoie), versa l’IMU con l’aliquota delle seconde case, con un costo medio annuo di 55 euro (28 euro di acconto), con punte di 110 euro annui. Se si prendono in considerazione i costi IMU sulle prime case cosiddette di lusso (abitazioni signorili, ville e castelli) – continua Ivana Veronese, sempre ubicate in un capoluogo di provincia, il costo medio è di 2.623 euro (1.311 euro per l’acconto), con punte di oltre 6 mila euro nelle grandi Città.

L’Imu  è al centro del dibattito in considerazione di una probabile riforma del catasto che potrebbe aumentarne o diminuirne l’importo. L’attuale sistema di calcolo dei valori fiscali di una casa si basa sulle cosiddette rendite catastali.