Il Covid ha cambiato il mondo del lavoro e i manager devono saper interpretare le novità
Il lavoro da remoto e i nuovi assetti ibridi dovuti alla pandemia hanno influenzato il relazionarsi all’interno di team, imprese e organizzazioni, impattando su delicati equilibri e dinamiche fondamentali. Nuove configurazioni richiedono oggi al management l’abilità di interpretare i cambiamenti e integrarli in una cultura aziendale in grado di generare l’ambiente giusto perché innovazione e sviluppo prosperino. In attesa di parlarne al Leadership Forum, ho rivolto alcune domande a Megan Reitz, docente di Leadership e Dialogue alla Hult International Business School.
In che modo i nuovi assetti e le modalità di lavoro hanno influito sulle relazioni tra collaboratori e leader? Come hanno impattato sulla cultura aziendale?
“Gli effetti del lavoro da remoto sono molto legati al contesto e generalizzare può trarre in inganno. Ho constatato che, per molte persone, è più facile esporsi e farsi ascoltare attraverso una piattaforma virtuale. C’è la sensazione che la distanza generata dalla differenza di potere diminuisca e che anche i leader con più seniority ne risultino meno intimidatori e più accessibili. Tuttavia, altri sostengono che sia più difficile leggere l’altro quando non puoi vederne fisicamente i segnali non verbali e che, per questo, i collaboratori siano meno inclini a esporsi e parlare di argomenti rischiosi, che potrebbero essere mal interpretati. Certo è che molte reti si sono ristrette: le relazioni con i colleghi che non fanno parte del team, ma che sono molto prossimi, possono averne risentito e, con esse, anche le possibilità di collaborazione. Il rischio è quello di chiudersi in silos. Ovviamente le dinamiche sono influenzate anche dall’accesso alla tecnologia, che è ciò che rende possibile una buona connessione, sia in termini tecnici, sia di relazione. L’accesso non è sempre equo. I manager oggi devono prendere coscienza del fatto che ci saranno sempre differenze nel modo in cui i membri del team vivono le situazioni. Una politica che stabilisce per tutti un solo modo di lavorare porta con sé il serio rischio di abbassare la motivazione e, di conseguenza, indurre i talenti a lasciare l’azienda”.
Il rapporto tra leadership e potere è in cambiamento da tempo, eppure ci sono ancora ostacoli alla creazione di un ecosistema aziendale più soddisfacente. Quali sono, secondo lei?
“La tradizionale struttura organizzativa per cui il potere è saldo al vertice è in discussione. Un fenomeno che sto studiando è la nascita, nelle imprese, di movimenti di attivismo che sfidano i sistemi di potere. I dipendenti, collettivamente, stanno individuando nuove modalità per dare voce alle insoddisfazioni ma anche ai meriti dei leader. Mettono in discussione sempre più di frequente quei leader che percepiscono come non autentici o che si espongono su temi sociali e ambientali, ma poi non innescano azioni significative. Molti dipendenti, che spesso hanno talenti molto ricercati, oggi sono disposti a lasciare l’azienda se manager e leader non incontrano i loro valori ambientali e sociali. La concezione di potere sta cambiando. Ostacoli a questo cambiamento esistono: molti dipendenti sono ancora intimoriti e restii a smascherare comportamenti scorretti o a condividere idee. I leader, d’altro canto, sono spesso ignari di quanto la loro posizione inibisca la verità e non fanno abbastanza per aiutare gli altri a farsi sentire. Sovrastimano la facilità con cui è possibile avvicinarli e sottostimano, invece, la sfida che rappresentano per i loro dipendenti. La mancanza di questa consapevolezza e una scarsa curiosità dei leader nei confronti di prospettive divergenti sono gli ostacoli che più bloccano la creazione di un ambiente di lavoro prospero”.
Come vede il futuro del lavoro?
“Guardo al futuro del lavoro con curiosità e voglia di indagare. Immagino e spero che aumenti la tendenza a tenere in considerazione non solo gli shareholder, ma anche gli stakeholder. L’abilità dei leader di prestare attenzione all’impatto che hanno sul mondo e alle loro responsabilità sarà vitale. Saranno spesso sotto i riflettori e dovranno scegliere con cura i temi sui quali esporsi. Dovranno essere disposti a intraprendere conversazioni su cause che tradizionalmente non appartenevano al luogo di lavoro in senso stretto, come il cambiamento climatico, il razzismo, il sessismo, la schiavitù moderna. Infine, la capacità di mettere i collaboratori nelle condizioni di poter esprimere le loro idee sarà cruciale per mantenere agile l’azienda”.
Gender pay gap, inclusione, diversità: quali strumenti per affrontare questioni che le imprese non possono più ignorare?
“Sono argomenti molto importanti. I dipendenti sono sempre più in grado di riconoscere quando un leader opera solo di facciata. Di conseguenza sono sempre più abili nel mettere in discussione coloro che sostengono cause, ma poi non fanno niente di concreto, dimostrando interesse superficiale. I leader devono partecipare fattivamente ai cambiamenti strutturali. L’inclusione dipende in modo primario dalla presenza di voci differenti, dalla possibilità che queste siano invitate a parlare e ascoltate. Per cambiare chi viene ascoltato, dobbiamo mettere in discussione e cambiare il modo in cui costruiamo il potere, lo status e l’autorità. Piuttosto che attenerci alla grande narrativa del ‘leader che sa cosa fare’, ognuno dovrebbe considerare che il suo punto di vista è parziale e cercare attivamente e con curiosità di imparare e prendere decisioni con gli altri, non per gli altri”.
di Marcello Mancini
Fondatore e amministratore delegato di Roi Group, società che acquisisce, elabora e produce conoscenza attraverso l’editoria ed eventi informativi.
Megan Reitz sarà ospite al Leadership Forum organizzato da Roi Group e che si svolgerà l’1 e il 2 dicembre al Teatro degli Arcimboldi di Milano. Per informazioni: leadershipforum.it