Articolo di Caterina La Grotteria, Consulente finanziario di Livorno
Il forte aumento delle materie prime, guidata da petrolio e dal gas naturale, ha una naturale ricaduta sulle aspettative di inflazione, ormai in costante crescita da 2 anni.
Un aumento permanente del prezzo delle materie prime e, di conseguenza dell’inflazione, andrebbe a:
- Colpire il reddito disponibile dei consumatori se “parcheggiato” in conto corrente
- Colpire il potere di acquisto dei consumatori in quei settori in cui la domanda è rigida
- Ridurre i margini delle aziende dove queste non hanno potere di determinazione del prezzo
Si può parlare di inflazione transitoria?
Quanto tempo impiegherà il forte rialzo dei prezzi delle materie prime a tradursi in un generalizzato aumento dell’inflazione? E’ questo l’interrogativo che occupa in queste settimane i pensieri degli operatori industriali e finanziari, oramai sempre più scettici sulla cosiddetta “temporaneità” della dinamica.
La presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde, nel suo intervento video al B20 Summit dell’8 ottobre scorso ha affermato che alcuni fattori inflazionistici legati alla ripresa post-pandemia “potrebbero creare cambiamenti nella domanda più durevoli, portando a un disallineamento fra domanda e offerta prolungato”. In realtà, nei mesi scorsi la Bce ha sempre enfatizzato il carattere transitorio dei recenti rialzi dei prezzi, legati per lo più a tensioni sui costi energetici destinati a rientrare una volta completata la fase di assestamento economico post – pandemia.
Anche il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, si è pronunciato a riguardo dicendo che la banca centrale Usa “è pronta” a iniziare a ridurre gli acquisti di asset e che secondo lui l’inflazione andrà scemando il prossimo anno, man mano che si allentano le tensioni provocate dal Covid.
E di stagflazione?
Il termine stagflazione si riferisce ad una “fase del ciclo economico caratterizzata da stagnazione delle attività produttive e da un persistente aumento dei prezzi”. Il termine nasce negli anni ’70, dopo il primo shock petrolifero del 1973-74, per descrivere una situazione fino a quel momento mai sperimentata. In altre parole, si verifica quando l’economia rallenta mentre l’inflazione galoppa.
Ad oggi gli esperti escludono il pericolo di una fase del genere e questo perché sarebbe necessario uno shock negativo della domanda, quando in realtà stiamo assistendo allo scenario opposto: le famiglie hanno un eccesso di risparmio record, la spesa dei consumatori in molte economie oggi è superiore ai livelli pre-pandemia, la disoccupazione è in calo, i tassi nominali/reali sono bassi e le pressioni salariali sono relativamente limitate.
Possibili scenari
Fare previsioni in merito ai possibili scenari dei prossimi mesi è difficile per questa situazione specifica, dal momento che le condizioni di mercato fisico mondiale sono molto diverse per le varie commodity: per alcune c’è scarsità di offerta, come per i metalli, per altre no, ed è il caso degli alimentari. Per quest’ultimi, sottolinea il rapporto del CSC (Centro studi Confindustria), i rincari potrebbero essere momentanei, così come dovrebbe fermarsi la corsa del prezzo del petrolio, vista la normalizzazione già avanzata del mercato fisico e delle scorte.
Nonostante le attese per il futuro siano, dunque, generalmente positive, persistono vari fattori di incertezza che potrebbero portare a rivedere a ribasso le previsioni di crescita.
Non si può ancora determinare, infatti, quale sarà l’evoluzione della pandemia nei prossimi mesi. A fronte di una campagna vaccinale di successo nel nostro Paese c’è ancora più di un terzo della popolazione mondiale non vaccinata. Inoltre, la quota di vaccinati differisce fortemente tra Paesi, con alcuni emergenti in evidente ritardo: 29% in Russia, 18% in India, 15% in Sud Africa, 6% in Egitto.
In secondo luogo, i problemi legati alle difficoltà di reperimento delle materie prime, come già accennato.
Un altro fattore di rischio è rappresentato dalla dinamica dei prezzi: se si manifestassero persistenti carenze di offerta, la spinta inflazionistica potrebbe assumere un carattere più strutturale in Europa e in Italia, inducendo la Bce ad anticipare la restrizione monetaria. Un prematuro rialzo dei tassi nell’Eurozona avrebbe effetti indesiderati sul costo del debito pubblico, e quindi impatti molto negativi soprattutto per un Paese come l’Italia con un elevato debito.
A questi elementi si aggiungono le difficoltà che sta registrando il settore immobiliare cinese, difficoltà che sta accrescendo i timori che il settore, che pesa per il 14% del Pil, subisca dei seri contraccolpi, con il rischio di una crisi a livello nazionale, che potrebbe avere effetti indiretti molto negativi anche sui partner commerciali della Cina e, più in generale, sull’economia mondiale.
Per quanto riguarda lo scenario italiano inoltre, se da un lato il PNRR offre una storica opportunità al nostro Paese va precisato che la sua piena efficacia è subordinata all’individuazione di una efficiente allocazione delle risorse, al rispetto dei tempi previsti e alle modalità di attuazione degli investimenti e delle numerose riforme in programma.
Il venir meno, anche solo parziale, di uno di questi elementi implicherebbe una minore attribuzione di risorse a monte o una loro dispersione a valle.
Questo articolo fa parte di una rubrica di Wall Street Italia dedicata ai consulenti finanziari che vogliono raccontare le loro esperienze e iniziative professionali. Se siete interessati a pubblicare una vostra storia scriveteci a: social.tfinance@triboo.it
L’autore è esclusivo responsabile del presente contributo, su cui non è eseguito alcun controllo editoriale da parte di T.Finance. Il presente articolo non può costituire e non deve essere considerato in nessun caso una sollecitazione al pubblico risparmio o la promozione di alcuna forma di investimento, ne raccomandazioni personalizzate ai sensi del Testo Unico della Finanza.