di Gabriele Burgio, presidente di Alpitour
Qualche settimana fa ci hanno informato i mezzi di comunicazione che la situazione del riscaldamento globale è irreversibile. Parola pesante che lascia poco spazio alla speranza. Se ci fosse comunicata da un medico in un ospedale sarebbe uno shock spaventoso.
Parliamo del pianeta e forse pensiamo che non ci cambierà più di tanto la vita, che i tempi sono lunghi e che poi forse esagerano, i soliti allarmisti.
Si, forse esagerano, sono però quasi 50 anni che si parla di questi temi, il primo segnale importante arrivò nel 1972 con lo studio del MIT di Boston con un saggio intitolato “I limiti dello sviluppo”.
Io lo lessi e la lettura mi lasciò un segno indelebile che ho portato fin d’allora.
Per anni ho parlato, difeso, informato, cercato di convincere tante persone anche qualificate ma la sensazione generale era quella della preoccupazione esagerata e di un pericolo non dimostrato.
Tanti fattori hanno contribuito a questo Irreversibile risultato.
Tante grandi aziende hanno negli anni fatto opposizione ai cambi logici richiesti per gestire questo disastro in arrivo. I costi alti, a volte per sostituire processi o impianti ancora in ammortamento. Ricordo la guerra sul diesel o sulla pianificazione temporale degli obbiettivi del Co2.
I paesi in via di sviluppo che si sono opposti, quasi comprensibilmente al cambio adducendo che i paesi ricchi hanno inquinato per anni e che non è giusto oggi obbligarli a costosi investimenti inassumibili dalle loro economie.
Basta vedere cosa sarebbe necessario per controllare l’output inquinante del Gange in India per capire le dimensioni degli investimenti ciclopici di cui si parla.
Così è che oggi siamo in una situazione “irreversibile”
In sostanza nel secolo scorso e in quasi un quarto del presente abbiamo usato e sfruttato le risorse che tanti millenni fa abbiamo trovato sul pianeta terra.
È nel secolo scorso che la nostra economia entra in tutta una serie di processi produttivi tanto di energia quanto di centinaia di materiali la cui produzione e smaltimento sono estremamente dannosi. La comodità, l’ingordigia, la comoda mancanza di pianificazione ci ha portato alla “ irreversibilità“.
Di cosa parliamo quindi? Credo che l’obbiettivo sia oggi fare tutto il possibile per ritardare o rallentare quelle maledette curve dei grafici che annunciano entro un secolo la sparizione di New York o di Venezia.
Le temperature minime sono in ascesa costante e le conseguenze le vediamo tutti giorni. La diminuzione dei ghiacciai, il, per ora, lieve aumento del livello dei mari, gli ormai chiari cambi climatici.
Ce la possiamo fare? Comincio ad avere qualche segnale positivo.
Prima di tutto se ne parla e tanto. Qualcuno lo fa per moda forse ma soprattutto il cambio climatico è alla vista di tutti e questo è importante.
Ci sono mille iniziative da intraprendere e i capitali necessari sono immensi quasi irreperibili.
Io credo, da anni, che il futuro sia in mano di tutti noi. Ogni gesto, ogni azione e decisione moltiplicata per milioni, miliardi di persone può fare, può cambiare il trend.
Non pensiamo che basti spegnere una lampadina in più per rallentare il cambio, l’onda lunga del danno è difficile da rallentare o fermare. Come una grande petroliera che può rallentare ma non frenare di colpo. L’importante è cominciare, subito, tutti.
Usiamo meglio l’energia, cerchiamo prodotti figli dell’economia circolare, consumiamo senza sprechi.
Cominciamo a spiegarlo ai giovani, prendiamo coscienza che se vogliamo loro bene, dobbiamo farlo per loro.