Le prime sette reti di consulenti finanziari (Fideuram, Mediolanum, Fineco, Banca Generali, Azimut, Allianz, Euromobiliare) si dimostrano più remunerative nei confronti degli azionisti rispetto alle prime sette banche Commerciali (Unicredit, ISP, Bbpm, MPS, Credit Agricole, BNL, Credem).
Infatti, il ROE, ricalcolato non considerando le rettifiche sui crediti imputabili all’effetto Covid, in media è pari al 22% per le reti, mentre per le commerciali si ferma al 2%. Determinanti sul risultato in particolare sono le rettifiche su crediti: 0,7 bps rispetto agli assets nel caso delle reti, 25 bps per le commerciali.
È quanto si evince dalla ricerca di Excellence Consulting “Albero del ROE, confronto tra banche Reti e banche Commerciali”, che analizza i dati dei Bilanci 2020.
Banche e Reti consulenti: Roe a confronto
Se si guarda il conto economico aggregato delle organizzazioni prese in esame, nel 2020 il ROE delle reti (22%) è ancora significativamente più elevato rispetto a quello delle commerciali (-1%): a rendere ancora più rilevante questa differenza è il fatto che le Commerciali necessitano di maggiore capitale delle Reti.
L’analisi di Excellence dimostra in realtà che il modello di business delle Commerciali consente loro di generare più ricavi anche nell’attuale contesto di tassi bassi o negativi: infatti, i margini d’ intermediazione sugli assets delle commerciali (186 bps) risultano più alti di quelli delle Reti (89 bps) – a determinare questa differenza concorre il fatto che i ricavi delle Reti sono già decurtati dal costo dei consulenti finanziari, che vengono remunerati in percentuale dei risultati commerciali ottenuti.
Perché allora il ROE delle commerciali è inferiore a quello delle reti?
“A causare questo scarto – spiega il report – sono due componenti di costo, che nel caso delle Commerciali sono notevolmente più alte rispetto alle reti: da un lato i costi Operativi sugli assets delle commerciali (131 bps) – che corrispondono stipendi fissi ad un volume di dipendenti molto più ampio e articolato – sono superiori a quelli delle Reti (40 bps), dall’altro le rettifiche sui crediti/assets, che sono maggiori nel caso delle commerciali (46 bps) – che distribuiscono più credito a privati e imprese – rispetto a quelle delle Reti (0,7 bps) che fanno credito prendendo a pegno gli investimenti dei clienti”.
Nel complesso – si legge nell’analisi – in un’economia come l’attuale a tassi zero e in un’attività come quella bancaria che ha spazi di imprevedibilità, poiché i margini d’ intermediazione/assets bilanciano sostanzialmente i costi Operativi/assets, se ne deduce che la remuneratività per gli azionisti delle banche commerciali risulta connessa principalmente alle rettifiche su crediti, ossia la capacità di fare banca, cioè il sapere scegliere a chi, privato o impresa, concedere credito.
Per rispondere alla possibile obiezione che su tale fotografia possa avere influito l’effetto Covid-19, la ricerca di Excellence prende a prestito lo Studio di Bankitalia, che quantifica in circa il 46% il valore delle rettifiche sui crediti delle banche commerciali imputabili alle conseguenze della pandemia (fonte: Audizione Governatore alla Commissione Banche). Applicando tale coefficiente, rimanendo invariate a 0,7 bps le rettifiche sui crediti/assets delle reti, quelle delle commerciali scendono da 46 bps a 25 bps, persistendo pertanto una notevole differenza di risultato tra i due modelli di business.
“Nell’attuale momento – afferma Maurizio Primanni, CEO Excellence Consulting – di tassi d’interesse vicino allo zero, che secondo i principali analisti potrebbero rimanere tali nel medio periodo, la capacità di remunerare gli azionisti è generata più dal modello di business della banca più che da altri elementi, e ciò a prescindere dai contraccolpi dell’emergenza sanitaria. La differenza non è stabilita tanto dal patrimonio, dai costi operativi o dal margine di intermediazione, sempre maggiori nelle banche commerciali, ma dalle rettifiche sul credito erogato. Si pone quindi la necessità di evolvere il sistema di finanziamento alle imprese, riducendo nel tempo il peso del credito bancario e aumentando conseguentemente la diffusione dei prodotti alternativi di private debt e private equity, i quali però richiedono un intervento di revisione complessiva dei sistemi organizzativi, comportamentali e delle competenze delle banche”.