L’economia USA e gran parte dell’economia globale appaiono forti, anzi molto forti in termini di attivita’ economica e crescita PIL. Nel caso degli USA, in effetti, l’attivita’ economica e’ ”maledettamente calda”, anzi bollente!
Cio’ significa un livello alto ed insostenibile di crescita e di attivita’ economica. Insostenibile vuol dire ben oltre il potenziale di offerta dell’economia, e potenzialmente in grado di causare aumenti dei costi e dell’ inflazione, che a loro volta sono fonte di preoccupazione per la Federal Reserve e potenziale fonte di aumenti dei tassi d’interesse.
In generale, per crescita insostenibile si intende un livello eccessivo di domanda in relazione all’offerta, e scarsita’, o sbilanci, che possono agire come fattori destabilizzanti sull’economia nel futuro.
Quando emerge una tale situazione, o se ne intravvede anche solo il rischio, i mercati finanziari possono reagire malamente.
Quando lo sbilancio principale ha a che vedere con potenziali aumenti dell’inflazione, i tassi d’interesse di mercato tendono a crescere, con o senza strette monetarie da parte della Federal Reserve. Visto che una forte crescita economica e prezzi in aumento portano a maggiori ricavi, i mercati azionari non sempre reagiscono negativamente alla possibilita’, o alla presenza, di un livello alto ed insostenibile di crescita, ne’ agli sbilanci che ne possono derivare.
Tuttavia, se la situazione insostenibile o di sbilancio permane, i maggiori indici azionari finiscono col reagire negativamente. Questo e’ particolarmente vero quando la crescita insostenibile, o sbilancio in via di sviluppo, porta ad un aumento nei tassi d’interesse; in particolare, una stretta da parte della Federal Reserve e politiche di tassi d’interesse in aumento.
Per l’azionario, il tiro alla fune si svolge sempre tra potenziale aumento dei tassi d’interesse, da un lato, e aumento dei ricavi (e potenzialmente dei profitti) dovuto ad un’economia forte e attiva e a prezzi stabili o in crescita, dall’altro. La fase di rialzo dei mercati azionari puo’ continuare anche in presenza di un livello di attivita’ apparentemente insostenibile, e dei rischi collegati, specialmente in quanto il rischio e’ scontato in modo diverso dai mercati azionari rispetto a quelli del tasso fisso.
Per l’ economia Usa e i mercati obbligazionari, dunque, la situazione appare davvero ”maledettamente calda”!
I dati al consumo per il mese di ottobre, pubblicati venerdi’ scorso, sono scioccanti, poiche’ mostrano un balzo inaspettato nella spesa al consumo uguale allo 0,6%, contro stime di mercato pari a solo 0,3%.
Cio’ a sua volta porta ad una lettura della crescita economica USA intorno al 4% nel quarto trimestre dell’anno in corso, ed e’ un’altra sorpresa, con una crescita piu’ rapida rispetto alle stime.
I fondamentali del consumo restano molto positivi, con una forte crescita dell’occupazione e prevalente scarsita’ di lavoro sul mercato, che quindi portano ad un forte aumento dei redditi, a un alto livello di fiducia dei consumatori, e alla volonta’ di spendere e chiedere prestiti, e quindi nuovamente a forti spese di consumo. Bisogna ricordare che dal 1959 ad oggi la spesa aggregata al consumo ha registrato una crescita tendenziale pari a 3,4% all’anno. In altre parole, la spesa al consumo, che rappresenta circa due terzi dell’attivita’ economica totale USA, cresce in media a un ritmo robusto.
Cio’ che preoccupa il mercato obbligazionario negli USA e’ la prospettiva di una crescita del Pil del 4%, e oltre, contro una maggiore, ma non sufficiente, crescita tendenziale per l’economia di circa il 3,5% all’anno.
Inoltre, le esportazioni USA sono in fase di accelerazione, conseguenza di una potente ripresa in atto nella maggior parte dell’economia globale. Nell’anno terminato a settembre, le esportazioni su base dele rilevazioni Census sono cresciute del 5,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Sulla base dei conti GDP, le esportazioni, corrette per l’effetto inflazione, sono in aumento del 6,3% da un anno all’altro. Un anno fa le esportazioni, in termini reali, risultavano invece in calo..
La ripresa delle esportazioni suggerisce che lo sbilancio commerciale USA potrebbe aver passato il peggio. Cio’, insieme all’alto livello dei consumi, potrebbe dare eccessivo impulso all’economia e causare maggiore inflazione, o perlomeno contribuire al rischio di una piu’ alta inflazione dal punto di vista della Federal Reserve.
Se le esportazioni continuano a crescere, (o crescono ancora piu’ velocemente di quanto registrato in questo periodo) sara’ necessario un ammorbidimento della spesa al consumo, una piu’ debole attivita’ di costruzione di case ed un rallentamento nella crescita della spesa per macchinari. In caso contrario, l’economia USA continuera’ a essere troppo ”calda”, il che portera’ a un rapido aumento dei tassi d’interesse che sara’ seguito da una contrazione nei mercati azionari.
Mentre l’economia USA continua a mostrarsi forte, i dati dell’ inflazione strisciano lentamente verso l’ alto. Tassi inflazionistici in aumento segnalano un’eccessiva forza economica e possono essere fonte di sbilanci economici nel futuro.
Gia’ adesso, l’inflazione calcolata con i prezzi al consumo (Cpi) attualmente pari ad un tasso annuale del 2,8% e di 2% per il Cpi ex prodotti alimentari ed energia (quest’ultimo indicatore seguito molto da vicino dai mercati), e’ al di sopra dei livelli fissati come paletti dalla Federal Reserve, pari a 2% fino massimo al 2,5%. Un’altra misura di inflazione, il deflatore riferito ai prezzi delle merci al consumo, reso noto venerdi’ scorso, ha registrato un aumento dello 0,2% ed un tasso annuale del 2,5%. Questo indicatore di inflazione si e’ ora attestato ad un livello che e’ 2% al di sopra del livello dell’anno precedente. Nel corso degli ultimi tre mesi e’ cresciuto a un tasso annuale del 3,1%. Un anno fa stava invece crescendo ad un tasso intorno all’1%.
Dato che l’obiettivo principale della Federal Reserve e’ quello di mantenere stabilita’ nel livello dei prezzi, i mercati obbligazionari temono la ripresa dell’inflazione e un ulteriore giro di vite da parte della banca centrale Usa. I mercati stanno attualmente ”prezzando” tale rischio. Rispetto alla data dell’ultima stretta monetaria da parte della Fed, i tassi d’interesse a lungo sono aumentati di circa un quarto di punto percentuale.
E’ probabile che la Fed, dal canto suo, passi un po’ di tempo in fase di attesa e osservazione, lasciando che si manifestino i ”lags” tra strette monetarie e gli effetti di queste ultime su economia e inflazione.
Tuttavia, alcuni ricerche dimostrano che un aumento di 75 punti base nel tasso federal funds porterebbe a un calo di solo 0,3% nella crescita Pil nell’anno successivo alla stretta monetaria, un impatto non molto significativo. L’effetto sull’ inflazione sarebbe trascurabile.
Altri fattori, oltre ad una stretta da parte della Fed, potrebbero peraltro causare un rallentamento economico, inclusi l’austerita’ causata dall’aumento dei prezzi petroliferi ed energetici, lo spostamento di spesa dall’anno prossimo all’anno in corso dovuto ai costo legati al ”millennium bug”, e il ritorno di tendenza per alcuni dati aggregati di spesa nell’economia USA, principalmente il consumo.
In caso contrario (e se entro un lasso ragionevole di tempo), la banca centrale aumentera’ ancora i tassi d’interesse – probabilmente non quest’anno, o forse neanche prima della riunione-chiave del Federal Open Market Committee all’inizio di febbraio dell’anno prossimo – ma certamente prima del mese di marzo.
A un certo punto, se i dati economici si manterranno positivi e la pressione inflazionistica restera’ in evidenza, i mercati azionari cominceranno a temere un’ulteriore stretta monetaria da parte della Fed e subiranno un’ulteriore correzione, dopo il rally di fine anno.
Quello che non sappiamo sono i tempi di tale correzione.
Normalmente, la spinta agli investimenti ed il loro collocamento hanno luogo a gennaio inoltrato, prima che sorgano esitazioni. Un’ascesa continua nei tassi d’interesse, o una crescita insostenibilmente forte nei dati economici USA abbinata a pressioni inflazionistiche, potrebbero terminare il rally di fine anno in anticipo rispetto ai tempi normali, lanciando i mercati azionari USA nella fase del prossimo ribasso.
Nel lungo termine, posto che l’economia USA e mondiale mantengano un solido livello di crescita, e le banche centrali, negli USA e altrove, non debbano continuare ad aumentare i tassi d’interesse ad infinitum”, i mercati azionari potrebbero essere martellati da una correzione, ma non verrebbe meno la tendenza rialzista del mercato.
DATI ECONOMICI DELLA SETTIMANA
Nel corso della settimana corrente saranno pubblicati vari indicatori economici a breve di interesse per i mercati finanziari.
I principali tra questi sono gli indicatori riferiti al potenziale d’inflazione e il rapporto su occupazione e disoccupazione, la cui pubblicazione e’ prevista per venerdi’ prossimo. Se abbastanza pronunciati, i timori di inflazione (che stanno portando ad un lievitamento nei tassi di’interesse), potrebbero causare un’ondata di vendite sul mercato azionario.
L’indice dei manager responsabili degli acquisti (Purchasing Managers’ Survey – NAPM) sara’ pubblicato mercoledi’, e gli analisti si aspettano sia generalmente stabile in termini di attivita’ e nella componente ”prezzi pagati”. In questo caso saranno anche interessanti i dati sui ‘prezzi ricevuti”, per determinare se il potere di fissare ill prezzo sia in fase di crescita all’interno del ciclo economico. Se cio’ fosse vero, i mercati del tasso fisso si indebolirebbero ulteriormente, potenzialmente causando problemi per i mercati azionari.
Il rapporto mensile chiave sul tasso di disoccupazione sara’ pubblicato venerdi’, con dati sul mercato del lavoro USA per il mese di novembre, immediatamente prima del periodo natalizio.
Questo rapporto e’ osservato molto da vicino dalla Federal Reserve, in particolare la crescita nei posti di lavoro come misura indiretta di forza economica, e il bacino di lavoratori disponibili, calcolato in base al numero di persone disoccupate che desiderano lavorare, e a quello di lavoratori part-time che sono disponibili per lavoro a tempo pieno.
Le recenti dichiarazioni di Alan Greenspan e documenti della Federal Reserve in tema di politica monetaria hanno messo in luce l’attuale insostenibile forza dell’attivita’ economica, generando maggior domanda di lavoratori di quanto possa essere soddisfatta dalle risorse disponibili, con cio’ indicando un aumento inflazionistico nel futuro.
Le stime del ”consensus” degli economisti sulla crescita dei posti di lavoro sono intorno a 200.000, mentre le retribuzioni medie orarie sono stimate in crescita dello 0,3%, essenzialmente in linea con il trend. Per quanto riguarda il tasso di disoccupazione, e’ probabile che rimanga stabile al 4,1%, o che cali forse al 4% a causa delle massicce assunzioni in vista della stagione natalizia.
La crescita dei posti di lavoro pare in effetti attraversare una fase di rallentamento, con un dato stimato a circa 200.000 per il mese di novembre che porterebbe a una media di 183.000 posti di lavoro al mese nel corso degli ultimi tre mesi, ben al di sotto del livello di 210.000 registrato nel corso della prima meta’ dell’anno in corso. A loro volta, questi dati risultano piu’ bassi della media di circa 240.000 registrata l’anno scorso. Tuttavia, data la scarsita’ di posti di lavoro in molte regioni del paese, sara’ difficile stabilire la causa di un rallentamento nella crescita dei posti di lavoro, che potrebbe essere dovuto tanto a un auspicato rallentamento dell’economia, quanto all’impossibilita’ di trovare lavoratori.
Se la crescita dei posti di lavoro dovesse risultare in eccesso di 250.000 e le retribuzione medie orarie dovessero registrare un risultato sopra le attese (0,4% o oltre), la conseguenza sarebbe un rapido movimento verso l’alto dei tassi d’interesse, con la probabilita’ di una correzione nei mercati azionari.
D’altro canto, un aumento anemico dei posti di lavoro pari a circa 100.000 e un tasso di disoccupazione in ripresa oltre il 4,1% sarebbe di fatto ben ricevuto dai mercati, poiche’ suggerirebbe un allentamento nelle condizioni del mercato del lavoro, un minor rischio di inflazione futura, e un periodo piu’ lungo a disposizione della Fed per una fase di attesa.
Allen Sinai e’ President e Chief Global Economist di Primark Decision Economics.
(traduzione di Ferne Mele)