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(WSI) –
Chi avrebbe mai pensato che in Cina, tradizionale nazione di grandi bevitori di tè, potesse avere successo una bevanda a base di caffè dal nome “Caramel macchiato”? Gli ingredienti della fortunata mistura sono caffè espresso, latte e zucchero caramellato, e un’aggiunta finale di panna montata. Il “Caramel macchiato” costa quattro dollari nella versione “porzione grande”, un prezzo decisamente elevato per il reddito medio cinese.
Ma sul miliardo e trecento milioni di cinesi c’è n’è almeno un centinaio di milioni con un reddito che consente lor senz’altro una pausa caffè. E per i giovani tutto ciò che viene dagli Stati Uniti – ed è servito con parole inglesi in esercizi commerciali di stile occidentale – è considerato un simbolo di status.
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E’ per questo che Starbucks, la grande casa di distribuzione di caffè di Seattle, che ha ormai quattrocentotrenta punti vendita in Cina e a Hong Kong, pensa di poter arrivare abbastanza presto al migliaio, imponendo il suo “espresso” nelle diverse varietà in cui viene offerto negli Stati Uniti: tra cui, oltre alla bevanda classica, il cappuccino, il frappuccino in vari gusti (in Cina va molto quello al mango), il caffè e latte, il caffè macchiato e il latte macchiato. Nelle bevande vendute in Cina c’è un po’ meno di espresso, un po’ più di latte e di zucchero e frutta tropicale.
Ma il modello sostanzialmente è quello che Starbucks ha adottato con grande successo negli Stati Uniti, con una ampia gamma di bevande, composte di tre ingredienti caffè, latte e frutta frullata tutte con nomi e gusto rigorosamente italiani. Così una parte dei cinesi imparerà a bere il caffè all’italiana (più o meno) grazie alla intraprendenza degli americani. Potenza e stravaganza della globalizzazione. (nota di wsi: come mai Starbucks ha avuto successo con un’idea a cui avrebbero dovuto pensare invece Lavazza, Illy e tutti gli altri produttori nostrani di caffe’?)
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