Una vera e propria montagna di spazzatura tecnologica, pari a oltre 50 milioni di tonnellate di pericolosi rifiuti derivanti da merci elettroniche che i Paesi più ricchi si “scaricano dalla coscienza” e abbandonano nelle nazioni africane più povere. È la denuncia di Achim Steiner, capo dell’Unep, United Nation’s environment programme, ovvero il Programma ambientale delle Nazioni Unite, in apertura della conferenza di Nairobi che nel corso della settimana rivede i termini della convenzione di Basilea per ridurre i movimenti dei rifiuti pericolosi di ogni tipologia.
Il lavoro di regolamentazione e di controllo è però ancora lungo e complesso, soprattutto a causa del progressivo ridursi dei costi di sostituzione di computer, telefoni cellulari, televisori e altri gadget elettronici e della velocità con la quale la tecnologia si va aggiornando. Fino a qualche tempo fa la maggior parte dei rifiuti “high-tech” finiva nei Paesi asiatici, come Cina o India: ora, invece, sembrano per lo più prendere la via dell’Africa. Infatti, stando a una recente ricerca del “Basel action network”, sarebbero circa centomila i computer “defunti” che ogni mese entrano nel solo porto nigeriano di Lagos.
Il metodo più comune di smaltimento della “spazzatura tecnologica” è l’incenerimento, un processo che però rilascia fumi tossici nell’atmosfera e sostanze quali bario e mercurio nel terreno. Senza contare il rischio implicito della diffusione di altre sostanze come piombo, arsenico, cromo, cadmio, cobalto e mercurio.
La conferenza di Nairobi discute proprio di come rendere più “stringente” la regolamentazione di questo fenomeno e procede, in particolare, alla revisione degli emendamenti della Convenzione di Basilea sul controllo sui movimenti transfontalieri dei rifiuti pericolosi e sul loro smaltimento.
“È necessario far luce sui rifiuti pericolosi, da dove vengono e dove finiscono”, sottolinea il segretario Esecutivo della convenzione di Basilea, il giapponese Sachico Kuwabara Yamamoto.
d. r.