“È assolutamente necessario controllare il flusso di dollari” secondo le autorità monetarie thailandesi, che impongono un blocco sul rimpatrio di depositi in valuta estera e l’entrata di nuovi fondi. La Borsa di Bangkok reagendo negativamente, perdendo quasi il 15 per cento in un giorno, riguadagnati in gran parte due giorni fa. I mercati internazionali paiono tranquilli e nessuno sembra temere il ripetersi di una crisi monetaria simile a quella del 1997 che inizia proprio in Thailandia. La differenza sta nel fatto che i thailandesi, come molti altri Paesi asiatici, non sono preoccupati da una possibile fuga di capitali, ma piuttosto da un flusso incontenibile di dollari che porta inevitabilmente a un rafforzamento non del tutto desiderato delle loro monete. Il bath thailandese passa da 42 per dollaro a 34 in pochi mesi e lo stesso fanno altre valute (con la grande eccezione dello yuan) e molti Paesi cominciano a ritenere interessante l’esempio cinese mirato a stabilizzare la moneta. Le riserve monetarie dei Paesi asiatici sono valutate attorno ai 1.700 miliardi di dollari (equivalenti a circa il 10 per cento del Pil americano) e i detentori temono possibili svalutazioni della moneta statunitense e cercano di bloccare sia l’arrivo di capitali di breve termine e speculativi, sia di convertire, senza causare eccessivi scossoni, le riserve in altre valute ritenute più sicure, l’euro in particolare.
d. r.