Economia

Rischi ribassi per l’oro con inflazione crescente e banche centrali in azione

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Cosa succede all’oro con inflazione crescente e banche centrali in azione

di Peter Kinsella (UBP)

Dopo la riunione della Federal Reserve del 26 gennaio, i prezzi dell’oro sono scesi da circa 1.840 dollari all’oncia fino a minimi di circa 1.780 dollari.  La causa del calo è stata la svolta marcatamente da falco della Fed, che ha intenzione di alzare i tassi quattro volte nel 2022, e ha lasciato aperta la possibilità di aumentarli di 50 punti base nel caso sia necessario. I mercati credono che quest’anno la Fed possa andare anche oltre, decidendo cinque rialzi dei tassi.
La Banca centrale americana terminerà il suo programma di quantitative easing a marzo, e ha anche fatto sapere che inizierà un programma di riduzione del bilancio (il cosiddetto quantitative tightening) durante l’estate. La riduzione del bilancio della Fed, attraverso la vendita del suo portafoglio di bond, aumenterà la pressione al rialzo sui rendimenti obbligazionari, soprattutto nella parte lunga della curva dei rendimenti.

La posizione della Fed è giustificata dal fatto che la dinamica inflazionistica è cresciuta significativamente negli ultimi mesi. L’inflazione complessiva ha raggiunto un livello di circa 7% su base annua, anche se ci si aspetta che raggiunga il picco del 7,4% a marzo – quindi, nel resto dell’anno, diminuirà riflettendo l’effetto base.

La combinazione di un aumento dei tassi d’interesse e di un graduale calo dell’inflazione rappresenta una cattiva notizia per l’oro e gli altri metalli preziosi, che scambiano su livelli inversamente proporzionali ai tassi d’interesse reali (tassi corretti per l’inflazione).
Molto dipenderà dalla comunicazione della Fed, da quanto essa sarà decisa nell’aumentare aggressivamente i tassi e dal ritmo di un eventuale calo dell’inflazione. Sarà importante anche la composizione della dinamica inflazionistica futura – gran parte dell’aumento recente è dovuto alla crescita dei prezzi dell’energia e alla supply chain – così si spiega la narrativa della Fed sull’inflazione cosiddetta “transitoria”.  Tuttavia, se in futuro l’inflazione dovesse essere causata in misura maggiore da una crescita aggressiva dei salari, il ciclo di tightening sarà più sostanziale e prolungato.

Oro, attenzione a una possibile flessione

Durante la pandemia, gli investitori si sono concretati sull’oro a causa di una maggiore avversione al rischio e delle politiche di quantitave easing delle Banche centrali. Il ritiro di queste politiche in tutto il mondo pone un limite al potenziale al rialzo dei prezzi dell’oro. Eppure, è curioso notare come gli investitori continuino a mantenere posizioni molto significative sull’oro e sui futures sull’oro.
Negli ultimi tre anni, gli ETF  sul metallo giallo hanno registrato enormi afflussi, e gli asset sono aumentati fino a circa 11mila miliardi di dollari. Il mercato dei futures mostra ancora una significative posizione netta lunga sull’oro.
Tuttavia, se i mercati dovessero prezzare un ritmo di tightening più aggressivo da parte della Fed, ci sarebbero grossi rischi per l’oro, perché tutti gli investitori potrebbero correre alla porta nello stesso momento. Per questo pensiamo che esista il rischio di un calo dei prezzi fino a circa 1.700 dollari all’oncia. Per quanto possa sembrare paradossale, il declino dell’oro, che al momento è supportato dall’attuale fase di volatilità sui mercati azionari, potrebbe manifestarsi una volta che questi ultimi si stabilizzeranno.

Il cambiamento delle prospettive macroeconomiche è uno sviluppo preoccupante anche per i metalli semi-preziosi come l’argento, che scambiano ad un alto beta rispetto all’oro. Se il metallo giallo cala, l’argento cala in misura maggiore. Se il rallentamento del mercato immobiliare cinese dovesse continuare, ciò potrebbe comportare rischi al ribasso per l’argento di circa 18 dollari l’oncia.