L’Italia, l’Europa e più in generale tutto il pianeta sono alle prese con una delle sfide più difficili e importanti degli ultimi decenni. Parliamo della transizione energetica, una svolta epocale che sta ponendo paletti e obiettivi non semplici da raggiungere per i Paesi da qui ai prossimi anni. La strada da seguire è però tracciata in maniera chiara, anche perché il contrasto al cambiamento climatico è fondamentale per il futuro socioeconomico globale.
Transizione energetica, i problemi che si aprono
Dopo la COP26 di fine 2021, c’è stato senz’altro un cambio di marcia nelle ambizioni internazionali dei governi. Moltissimi hanno promesso di voler raggiungere nel lungo periodo il traguardo delle emissioni zero e si sono impegnati nel breve termine a intraprendere un percorso di riduzione delle stesse emissioni.
L’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) ha stimato che tali impegni, se rispettati, saranno sufficienti a mantenere il riscaldamento globale sugli 1,8 °C entro la fine del secolo. Annunciando anche che per la prima volta le istituzioni hanno fissato obiettivi abbastanza ambiziosi da poter tenere l’aumento delle temperature al di sotto dei 2 °C.
Il “se” posto dall’IEA non è però di poco conto. Al contrario, è un “se” grande come una casa. L’Agenzia ha infatti rilevato quanto sia in costante aumento il divario tra proclami e realtà. Come dire che tra il dire e il fare c’è di mezzo il nostro futuro. Diversi esperti concordano sul fatto che stando alle misure attuali si andrà incontro a un ampio sforamento del tetto dei 2 °C di riscaldamento globale entro il 2100.
Oltre ai rischi del cambiamento climatico, la disparità tra ambizioni e vita reale può portare a una transizione energetica disorganizzata, il che potrebbe causare volatilità dei mercati, problemi di sicurezza energetica, conflitto di interessi e politiche a singhiozzo sul tema. Tutte eventualità che al momento non possono essere escluse.
Il passo in avanti ancora da compiere sulle ambizioni, sta nel lanciare segnali importanti a livello globale per allontanare i mercati finanziari e gli investitori dal carbone. Ma i governi devono ancora trovare le soluzioni giuste per innescare questo passaggio, anche a livello di incentivi, portando maggiori fondi verso l’energia pulita e colmando il gap tecnologico in questo segmento. Gli effetti di tutto ciò li vediamo già oggi: i prezzi dell’energia salgono, l’economia è in forte ripresa e gli investimenti su gas e petrolio sono scesi proprio nell’ottica di perseguire l’obiettivo Net Zero al 2050.
La transizione, però, risulta complicata anche perché va a incidere sulle nostre abitudini quotidiane. Ovvero su come noi utilizziamo l’energia. Le maggiori criticità stanno emergendo in settori come trasporti, abitazioni e industrie. Qui l’azione delle istituzioni è complicata da quelle che sono le preferenze dei consumatori. Per quanto le aziende e i governi possano intervenire sulla catena di montaggio, sullo stanziamento di fondi e su altre misure utili, poi possono fare poco sulle scelte dei singoli cittadini. Serve una nuova consapevolezza diffusa, utile a propagare comportamenti virtuosi anche nell’uso dell’energia da parte di tutti.
Un’ulteriore criticità segnalata da numerosi esperti è lo sforzo poco omogeneo a livello globale sulla riduzione delle emissioni. La maggior parte dei finanziamenti e delle contromisure si stanno registrando nei Paesi avanzati, con i Paesi emergenti e quelli in via di sviluppo fermi verosimilmente solo al 20% dell’aumento di investimenti necessario. Questi Stati continuano ad avere un margine d’azione limitato sul piano fiscale per poter incrementare da soli i fondi da stanziare.
Tali squilibri tra i supporti offerti ai governi sono estremamente consistenti, tanto da portare l’IEA ad affermare che il mondo si trovi più vicino alla traiettoria del business tradizionale che a quella del Net Zero. Proseguendo su questa linea, si rischia di generare un grande divario sulla transizione energetica tra Paesi avanzati ed emergenti. Ed è proprio per gestire i possibili gap tra domanda e offerta, che bisogna modificare il modo in cui operano i sistemi energetici.
Dunque, il quadro è estremamente articolato e la situazione resta da valutare. Di buono c’è che almeno per quanto riguarda i combustibili fossili sembrano essere stati lanciati segnali globali già ampiamente recepiti dagli investitori. Il lavoro da svolgere adesso invece riguarda l’energia pulita, implementando le norme necessarie e siglando gli accordi globali. Ma è un qualcosa che deve accadere rapidamente, per evitare i rischi generati da un progresso lento del sistema energetico mondiale. E, soprattutto, per non perdere il terreno faticosamente conquistato nella battaglia contro le emissioni.
L’articolo integrale è stato pubblicato sul numero di febbraio del magazine Wall Street Italia