Cambia il concetto di crisi d’impresa, grazie alla riforma in vigore dal luglio 2006. Continua il viaggio del Denaro nel mondo della legislazione e delle nuove caratteristiche del fallimento e di tutti gli strumenti a esso correlato.
Lo schema di Guatri, rispetto agli altri, risulta valido per l’individuazione dei sintomi e per l’accertamento delle cause, ma non risulta altrettanto valido, a causa della sua dichiarata obiettività, se utilizzato in un’ ottica di risanamento, per poter valutare e per poter selezionare gli interventi di risanamento che, di volta in volta, si rendono necessari.
Una metodologia di approccio diversa da quelle finora presentate sullo studio del fenomeno è quella dinamica-evolutiva, in cui le cause della crisi variano a seconda dello stadio evolutivo, in cui l’impresa si trova. Tra gli studi di tale metodologia, quello di Bruce e Scott analizza l’esistenza di diverse cause di crisi a seconda del ciclo di vita dell’impresa. L’impatto della crisi varierà, quindi, a seconda dello stadio in cui ci troviamo.
Durante la fase di nascita, le crisi sono riconducibili ad errori imprenditoriali dovuti all’inesperienza o all’incapacità di far fronte agli obblighi finanziari e gestionali necessari. Nella fase di consolidamento i disequilibri sono collegati alle difficoltà di operare in un ambiente esterno divenuto più complesso e di doversi dotare di una struttura organizzativa più articolata.
Nello stadio successivo, quello della crescita, le ragioni della crisi sono connesse alla maggiore pressione competitiva a cui l’impresa è sottoposta avendo ormai un posizionamento solido e ben definito sul mercato. Nella fase di espansione, la sempre più pressante tensione competitiva potrebbe comportare crisi legate al venir meno della validità delle proprie strategie organizzative-gestionali; infine nella fase della maturità il dissesto può essere dovuto all’incapacità dell’azienda di rinnovare le sue risorse e le sue competenze o all’inadeguatezza dei propri prodotti, ormai obsoleti, rispetto ai nuovi bisogni e alle nuove esigenze di mercato.
Questo modello è sicuramente interessante, in quanto individua quali sono le principali cause di crisi nelle varie fasi di vita dell’impresa e quindi può essere utilizzato soprattutto in sede di pianificazione o come strumento di previsione. Tuttavia il modello in questione mostra anch’esso i suoi limiti, perché si fonda su alcune semplificazione che sembrano oramai superate.
Una prima semplificazione e’ quella di vedere l’impresa come un sistema isolato, che deve prevedere e/o fronteggiare le crisi con l’esclusivo ricorso alle risorse interne. In realtà va acquisendo sempre maggiore importanza il ruolo di organizzazioni manageriali che assistono e supportano l’impresa dall’esterno.
Ciò significa che l’anticipazione e risoluzione della crisi potranno vedere coinvolti, oltre alla proprietà e al management, anche altri soggetti. Una seconda semplificazione e’ costituita dall’assenza delle fasi di nascita dell’impresa e di cambiamento intergenerazionale; si tratta di fasi alquanto delicate che, se mal gestite, possono portare alla formazione di stati di crisi.
Sempre in una visione dinamica, il modello proposto da Caroli vede l’evoluzione dell’impresa caratterizzata dall’alternarsi di fasi di impulso e fasi di routine.
Il momento di impulso è la fase dell’innovazione dove l’impresa modifica le proprie caratteristiche e le condizioni di vantaggio competitivo con l’obiettivo di consolidare al proprio interno un nuovo equilibrio, teoricamente migliore rispetto al precedente. La fase di routine, invece, è costituita dal consolidamento e dall’adozione di questi nuovi valori aziendali. Il successivo passaggio ad una nuova fase di impulso è dovuto al decadimento delle routine affermate, a causa di nuovi stimoli di carattere interne e/o esterno che spingono l’impresa a sviluppare competenze e valori più adeguati alle nuove situazioni da dover gestire. In tale ottica il fenomeno della crisi è legato al non corretto funzionamento di questa dinamica tra impulsi e routine ; le cause della crisi saranno:
– persistenza di routine inadeguate;
– mancanza di routine in grado di stabilizzare i cambiamenti derivanti dalla fase di impulso;
– eccessivi impulsi di cambiamento che provochino la sostituzione di routine ancora efficaci, rendendo l’impresa troppo instabile internamente;
– incapacità di produrre nuovi impulsi.
Va tuttavia precisato qual è la dinamica che porta alla creazione di questo squilibrio tra impulsi e routine.
La crisi si verifica quando “un certo numero di routine divengono, più o meno nello stesso periodo, inadeguate e non sono superate da impulsi sufficienti; ovvero quando un certo ammontare di elementi di innovazione non trova adeguata stabilizzazione in un sufficiente numero di nuove, valide routine”.
di Carmine Ruggiero