Società

BOND USA:
CON IL DOLLARO
SI SUPERA IL 5%

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(WSI) –
Una scommessa sul dollaro. Oggi i titoli nella valuta dello zio Sam con scadenze comprese tra uno e sei anni arrivano a sfiorare il 6% lordo. Si va dal 5,08% di Nestlé 2011 (vedi tabella) al 5,98% di DaimlerChrysler 2013. Perché non farci un pensiero?

Anche in area euro i tassi sono saliti rispetto allo scorso autunno. Ma la redditività che offrono gran parte degli strumenti resta su valori medio bassi. Neppure la scadenza trentennale paga rendimenti elevati. Per contro il costo della vita, secondo le rilevazioni ufficiali, cresce al ritmo del 2%. Il tasso reale, la differenza tra rendimento ottenuto e inflazione, è decisamente modesto.

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Per investire in strumenti a rendimenti teorici più elevati occorre quindi emigrare, anche se in forma virtuale. Basta infatti acquistare obbligazioni denominate in monete diverse dall’euro. Molte sono di paesi emergenti (Sud Africa, Turchia, Ungheria per esempio), altre di paesi dell’emisfero australe. La più importante è sempre quella della nazione che rappresenta ancora oggi la locomotiva economica: gli Stati Uniti.

Le obbligazioni denominate in dollari americani propongono rendimenti superiori a quelli offerti dalle emissioni denominate in euro su tutta la parte della curva. Il livello più elevato del tasso di sconto statunitense, rispetto al tasso di riferimento d’area euro, giustifica il differenziale. L’acquisto di strumenti in dollari americani è un esercizio abbastanza semplice perché le obbligazioni di questo tipo sono numerose e facilmente reperibili sul mercato.

Le emissioni in moneta diversa dall’euro espongono naturalmente al rischio valutario, perché il rapporto di cambio tra euro e dollaro americano, come per qualsiasi altra valuta, è soggetto ad oscillazioni, spesso rilevanti, nei due sensi. Perché allora destinare una quota del portafoglio ad obbligazioni denominate in dollari degli Stati Uniti? Per due ragioni: perché la crescita americana sarà anche nel 2007 superiore a quella d’area euro, e perché, anche dal punto di vista grafico, è probabile che il valore del dollaro americano si riporti verso quote superiori dopo un anno di deprezzamento complessivo, come accadde due anni fa.

E’ soprattutto l’attesa di un andamento positivo dell’economia degli Stati Uniti nel secondo semestre di quest’anno a far ritenere che la scelta di obbligazioni denominate in dollari americani rappresenti una strategia da seguire per una parte dei propri investimenti. A supportare questa aspettativa contribuisce il favorevole andamento del mercato del lavoro, nel quale la crescita del numero degli occupati si conferma un valido contributo al mantenimento di un’elevata propensione ai consumi da parte delle famiglie americane.

La valuta americana ha avuto alterne fortune: nel 2003 e nel 2004 si è indebolita, nel 2005 si è rafforzata, nel 2006 ha di nuovo perso terreno. Ora, a fronte non solo delle prospettive indicate, ma anche nel solco di un movimento che caratterizza il rapporto di cambio da cinque anni a questa parte, non è improbabile assistere ad un recupero del biglietto verde. Contro questa ipotesi si schiera chi ritiene che il debito pubblico degli Stati Uniti sia eccessivo e che possa evolvere negativamente, se la spedizione in Iraq verrà rafforzata.

Ma l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali, in calendario a novembre 2008, lascia pensare che l’attuale amministrazione possa adoperarsi per evitare che l’indebitamento salga a livelli eccessivi. L’attuale rapporto di cambio tra euro e dollaro oscilla tra 1,28 e 1,30. Non è improbabile che nei prossimi mesi si possa arrivare a 1,25, prima per poi scendere ancora verso 1,20. Anche se solo temporaneamente. Vi sono più ragioni per ritenere che ciò possa accadere nei prossimi anni. La prima è che, a fronte di un possibile ridimensionamento della crescita cinese, l’economia americana possa tornare ad essere il punto di riferimento principale. E la moneta che la rappresenta, a questo punto, tornerebbe sugli scudi.

Che fare allora? Strategicamente, se si ha una media propensione al rischio, la quota da destinare agli strumenti in dollari potrebbe arrivare al 5% del portafoglio. Per raddoppiare nel caso che la propensione al rischio sia di livello medio alto.

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