Economia

Natalità ancora al minimo storico: ripresa sul finire d’anno

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Anche nel 2021 la pandemia influenza il comportamento demografico in Italia con la natalità al minimo storico e la mortalità anch’essa alta ma in calo sul 2020.

Tra gli elementi positivi, come rende noto l’Istat, si sottolinea un sostanziale sblocco dei vincoli oggettivi al desiderio di formare famiglia attraverso l’unione coniugale. Superato il blocco pandemico del 2020, nel 2021 si sono celebrati 179 mila matrimoni, con una crescita dell’85% sull’anno precedente che non ha tuttavia riportato la frequenza annua al livello del 2019.

Guardando alle nascite, con 399 mila neonati, l’anno 2021 certifica l’ennesimo traguardo storico del record di minore natalità mai registrato nella Storia d’Italia. Anche nel 2021 alla più che consolidata questione nazionale della bassa fecondità si sono associati gli effetti del lockdown, generando ancora più incertezza nelle scelte di pianificazione familiare.

Segnali di ripresa della natalità si scorgono solo sul finire dell’anno

Al fine di contrastare la perdurante bassa natalità, dice l’Istat, il Paese avrebbe bisogno non solo di fare molti più figli di quanti se ne facciano normalmente, ma anche di incrementare la base potenziale di chi potrebbe farli. Anche perché avere figli è sempre più una scelta rinviata nel tempo e, in quanto tale, ridotta rispetto a quanti idealmente se ne desiderano.

La scelta di rinviare sempre più in avanti la decisione di avere figli accomuna tutte le realtà del territorio. Le neo-madri del Nord e del Centro, rispettivamente con età medie al parto di 32,5 e 32,8 anni, continuano a presentare un profilo medio per età più anziano rispetto a quelle del Mezzogiorno (32 anni). Ciononostante proprio in quest’ultima ripartizione si trovano le neo-madri mediamente più anziane del Paese, quelle sarde (33 anni) e lucane (33,1). Segnali di ripresa provengono dalla nuzialità che potrebbe sottintendere un parziale recupero di nascite nel corso del 2022. In realtà, primi segnali per quanto timidi di ripresa si ravvisano già nell’ultima parte del 2021. A novembre e dicembre si sono registrate circa 69 mila nascite, il 10% in più di quanto rilevato nel medesimo periodo del 2020, ma sostanzialmente lo stesso valore osservato nel 2019.

Persi in un anno oltre 250 mila residenti

Altro aspetto messo in luce dall’Istat riguarda la popolazione residente che è in riduzione costante dal 2014 quando risultava pari a 60,3 milioni. Al 1° gennaio 2022, secondo i primi dati provvisori, la popolazione scende a 58 milioni 983 mila unità cosicché nell’arco di 8 anni la perdita cumulata è pari a 1 milione 363 mila.  Ben 34 delle complessive 38 Province del Mezzogiorno presentano un tasso di variazione annuale della popolazione peggiore di quello nazionale (-4,3 per mille) e in 9 di queste la riduzione relativa è a doppia cifra: si va dal -10,6 per mille riscontrato nella Provincia di Oristano al -15,4 per mille in quella di Isernia, con in mezzo circoscrizioni importanti come Nuoro, Campobasso, Enna, Potenza, Benevento, Caltanissetta e Crotone. Nel 2021 inoltre le migrazioni, sia interne sia con l’estero, risultano in rialzo dopo che nel 2020, a causa della pandemia, erano state frenate dalla prescrizione di barriere all’ingresso dei confini nazionali e dalle limitazioni imposte al movimento interno. Le iscrizioni dall’estero per trasferimento di residenza sono cresciute del 15,7% sul 2020 (da 248 mila a 286 mila), ma risultano inferiori del 14% rispetto a quelle del 2019 (333 mila). Le cancellazioni per l’estero scendono del 19% sul 2020 (da 160 mila a 129 mila) e del 27,9% sul 2019 (180 mila).

Infine, l’età media della popolazione transita, tra l’inizio del 2021 e l’inizio del 2022, da 45,9 a 46,2 anni. La popolazione ultrasessantacinquenne, 14 milioni 46 mila individui a inizio 2022 in base alle stime (+105 mila), costituisce il 23,8% della popolazione totale contro il 23,5% dell’anno precedente. Viceversa, risultano in diminuzione tanto gli individui in età attiva quanto i più giovani: i 15-64enni (-198 mila) scendono dal 63,6% al 63,5% mentre i ragazzi fino a 14 anni (-160 mila) passano dal 12,9% al 12,7% del totale.