Economia

Sileoni (Fabi): “Ecco quali impatti avranno crisi in Ucraina e caro-energia sulle banche italiane”

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“La congiuntura economica ha sempre un impatto, più o meno rilevante, sui ricavi e sugli utili delle banche. La guerra rappresenta un fattore rilevante, ma occorre fare una distinzione. Se parliamo dell’esposizione diretta dei due principali gruppi bancari italiani verso la Russia, l’impatto è, a mio giudizio, gestibile, anche per la capacità dei loro amministratori delegati. Argomento diverso è, invece, quanto brusco sarà il rallentamento della crescita italiana e internazionale. Molto dipenderà anche da quello che saranno in grado di fare i governi, perché vista la straordinarietà della situazione, sono indispensabili importanti aiuti economici sia per quanto riguarda i prestiti bancari, per assicurare liquidità alle famiglie e soprattutto alle imprese, sia per quanto riguarda i sostegni indispensabili per compensare l’aumento dei prezzi di gas ed energia“.

Ne è convinto Lando Maria Sileoni, segretario generale di Fabi (il sindacato dei bancari italiani), che abbiamo intervistato per Wall Street Italia. Con lui abbiamo parlato anche di: gestione dei clienti, roboadvisor, taglio delle filiali e dell’evoluzione del settore bancario.

Come si può migliorare la gestione dei clienti in questo periodo in cui è in aumento la ricchezza ferma sui conti correnti?

La parola d’ordine è fiducia. Se, oggi, le famiglie e le imprese, lasciano sui loro conti correnti quasi 2.000 miliardi di euro, la ragione va individuata principalmente nella generale assenza di fiducia, peraltro crollata durante i due anni di pandemia e adesso nuovamente minata dalla guerra tra Russia e Ucraina. La sfiducia è a 360 gradi: riguarda le prospettive economiche, l’incertezza sul futuro, ma anche la classe politica che non appare sempre in grado di dare le risposte adeguate ai bisogni delle persone e degli imprenditori”.

I roboadvisor recentemente lanciati da alcuni istituti di credito possono essere utili a favorire gli investimenti?

L’intelligenza artificiale e, più in generale, tutte le nuove tecnologie possono aiutare le banche e chi ci lavora per migliorare la qualità dei servizi offerti alla clientela. Ma si tratta di affiancare strumenti informatici al lavoro delle persone, che non sono rimpiazzabili con i computer. Il fattore umano è insostituibile e questo mi sembra che lo abbiano capito a fondo anche i principali gruppi che nei recenti piani industriali, pur introducendo importanti elementi di innovazione tecnologica, stanno puntando molto sui dipendenti. Hanno capito, insomma, che non si può prescindere dalle lavoratrici e dai lavoratori. Ci sarà una trasformazione, anche del lavoro, da affrontare con serietà a grande impegno che intendiamo gestire insieme con i vertici dei gruppi. Sono convinto che la trasformazione del settore, se accompagnata intelligentemente dalle nuove tecnologie, potrà portare a creare nuova occupazione e non a ridurre i posti di lavoro. Possono nascere nuovi mestieri e nuove attività proprio col digitale.

La crisi avviene in un contesto di chiusura delle filiali fisiche a favore di espansione delle banche digitali e in generale di una maggiore digitalizzazione delle banche, che è visto anche come una leva per il taglio dei costi. Assisteremo a un’accelerazione ulteriore?

Come le dicevo, la digitalizzazione e le nuove tecnologie non sostituiranno il fattore umano. Finora d’innovazione ce n’è stata davvero poca e questo argomento è stato usato strumentalmente solo per ridurre i costi, anche quelli del personale. Ma va sempre ricordato che nel settore bancario italiano non c’è mai stato un licenziamento: tutte le crisi e le ristrutturazioni sono state gestite senza impatto sociale, con uscite solo su base volontaria e un numero cospicuo di assunzioni.
In Europa, a partire dal 2010, sono stati persi, in banca, 420.000 posti di lavoro e, di questi, nel 70% dei casi si è trattato di licenziamenti. In Italia, a fronte di circa 85.000 esodi volontari, nello stesso periodo sono stati assunti circa 36.000 under 35. Insomma, un ottimo ricambio generazionale. Lo abbiamo potuto fare grazie a due strumenti, il Fondo di solidarietà e il Fondo per l’occupazione, che sono due importanti conquiste sindacali. Che continueremo a difendere anche per il futuro.

La relazione annuale di Banca d’Italia del 2021 dice che sul totale del “fatturato” degli istituti di credito, la quota legata alle commissioni risulta in crescita, mentre è in calo quella derivante dai prestiti (margine d’interesse); resta residuale, invece, la fetta definita “altri ricavi diversi dalle commissioni”. Pensa che la tendenza proseguirà nel 2022?

Mi aspetto, per il 2022, dati simili. L’anno scorso abbiamo rivelato, con un nostro studio, basato sui dati della Banca d’Italia, lo storico sorpasso dei ricavi generati dalla vendita di prodotti finanziari e assicurativi rispetto a quelli derivanti dall’attività tradizionale, gli impieghi. Le banche purtroppo si sono trasformate in negozi finanziari e preferiscono, oggi, erogare meno credito. Va detto che questa scelta dipende in buona parte dalle imposizioni del regolatore europeo, Ue e Bce, che, a partire dal 2014, hanno progressivamente “stravolto” l’attività bancaria, introducendo norme troppo severe sulla concessione dei prestiti e sulla gestione dei crediti malati.
Una tenaglia che, oggi, rende oneroso e poco conveniente, per gli istituti, concedere i finanziamenti. Di qui la tendenza a spingere molto sulla vendita di qualsiasi genere di prodotto. E questo fenomeno genera altri problemi.

Quali?

Quello delle indebite pressioni commerciali esercitate dai vertici delle banche sulle lavoratrici e sui lavoratori bancari. Ce ne occupiamo da anni ed esistono migliaia di volantini sindacali che denunciano i danni subiti da chi lavora in banca. Ma la questione interessa anche la clientela, perché la spinta a vendere può portare a offrire prodotti anche rischiosi ai risparmiatori. Noi stiamo cercando di alimentare il dibattito e di attirare l’attenzione di tutta l’opinione pubblica.