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(WSI) –
Tu dici Borsa e vedi scorrere il denaro facile. Fin troppo. Poi guardi un qualunque grafico e osservi che dalla metà del giugno 2006 si sale solamente in linea retta, senza alcun tentennamento, senza svolte all’indietro degne di essere prese in considerazione. E ti domandi se non è troppo bello per essere vero. Ma la risposta è incerta, a metà strada tra il sì e il no.
«Da parte nostra, a questo punto, raccomandiamo di intascare qualche profitto – dichiara convinto Ronan Carr di Morgan Stanley – soprattutto perché le azioni europee non sono più a sconto come prima. E anche perché il ciclo dei tassi d’interesse punta inequivocabilmente verso l’alto. La Bce non potrà restare ferma, anzi è già chiaro che arriveranno almeno due rialzi. Detto ciò, non vogliamo essere fraintesi. Come spesso accade, probabilmente passerà molto tempo prima che le dinamiche interne ed esterne al mercato, lo rendano maturo per un capovolgimento definitivo. Qui stiamo solo suggerendo di mettere al sicuro un po’ di guadagni, dopo i vistosi rialzi dei mesi scorsi. Insomma suggeriamo di passare da una posizione sovrappesata ad una più in linea con i parametri di lungo termine».
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Come dire che non si evoca un fuggi-fuggi generale dalle Borse, ma appena un po’ più di cautela. Convergono, a sostegno di un tale atteggiamento, diversi fattori. In primo luogo le scelte messe in atto dagli amministratori e dai direttori d’azienda, i cosiddetti «insider». Stando alla società Argus, che registra appunto le transazioni degli insider a Wall Street, il volume di azioni liquidate da questo gruppo di persone meglio informate sta sfiorando livelli record. Spiega David Coleman, analista della stessa Argus: «Vi è un’elevata affinità fra l’apice delle vendite toccato in queste settimane e quello raggiunto sul finire del 2003. Allora il Dow Jones aveva corso a perdifiato da 7.500 punti fino a quota 10.700.
Ma di lì a poco si stabilizzò, all’interno della banda fra 10.000 e 11.000 punti, restandovi per l’intero 2004 e 2005. Anche adesso gli insider testimoniano un egual grado di sfiducia sul potenziale di apprezzamento a breve della piazza newyorchese. Di conseguenza una correzione o una fase laterale ci potrebbero stare tutte».
Anche sul fronte europeo, inizia ad emergere qualche dubbio per quanto riguarda le valutazioni. Si badi bene, la maggior parte degli esperti continua a considerare i listini continentali decisamente vantaggiosi. Ma il loro numero diminuisce ogni giorno di più. In base al sondaggio mensile di Merrill Lynch, se fino a dicembre il 36% dei gestori professionali definiva l’Europa ancora a sconto, in febbraio la percentuale è calata al 28 per cento. «I prezzi sono ben maggiori anche di quel che appaiono – puntualizza ancora Ronan Carr di Morgan Stanley – Forse un’occhiata disattenta porta a credere che siano tuttora contenuti, ma non è così. Pensiamo a una pietra miliare dell’analisi fondamentale come il rapporto fra quotazioni e utili, il cosiddetto price/earning.
Ebbene, attualmente è pari a 14,5 per l’indice Msci Europe, cioè in linea con la media fin dagli anni Settanta. Di conseguenza qualcuno potrebbe dire: benissimo, i multipli correnti non sono motivo di preoccupazione. Ma sbaglierebbe. Questo perchè ad abbassare la media generale concorre una manciata di pochi titoli a larga capitalizzazione, che hanno davvero multipli estremamente contenuti. Ma se escludiamo questi nomi, ci accorgiamo che il p/e balza dal 14,5 a ben il 18,8. E vorrei aggiungere anche un’altra cosa.
Nel 91% dei mesi, sempre a partire dal 1970, il p/e medio è stato inferiore a 18,8. Analogamente si può prendere in considerazione il rendimento del dividendo. Attualmente è pari al 2,7% per l’intero listino transnazionale. Eppure, di nuovo, se depenniamo alcuni pochi titoli a larga capitalizzazione, il rendimento del dividendo si riduce a un più anemico 1,8 per cento. Più basso di così è stato solamente per l’1% dei mesi. Di fronte a statistiche di questo genere, sarebbe del tutto fuorviante parlare di prezzi da saldo. Ad essere convenienti, semmai, sono le società maggiori. Basti dire che le prime 40 in Europa offrono un dividendo medio del 3,8% con un p/e medio di 13».
Un secondo motivo di cautela va ricercato nell’andamento del costo del denaro. Proprio in settimana le statistiche ufficiali hanno suggellato l’ottimo momento dell’economia comunitaria. Con l’attività a pieno regime, è inevitabile che la Banca Centrale di Francoforte decida di stringere le condizioni del credito già dal mese di marzo. Gli operatori professionali ne sono convinti e hanno spinto il saggio d’interesse sul decennale governativo tedesco oltre la soglia del 4 per cento. Nel frattempo cambiano le aspettative anche dall’altra parte dell’Atlantico. Prosegue Ronan Carr: «L’eventualità di un taglio dei tassi da parte della Federal Reserve americana è stata per lungo tempo nella mente degli investitori. Anzi, lo si può ritenere il principale fattore di crescita della salita delle Borse negli ultimi mesi. Al contrario, però, invece di frenare la locomotiva Usa sta ora riaccelerando. E ciò potrebbe avviare una politica monetaria meno accomodante. Con minore liquidità in circolazione, il mercato rischia di subire turbolenze».
Vale la pena di sottolineare che non siamo di fronte ai sintomi di una crisi diffusa. I dubbi vengono solo associati a un possibile periodo di consolidamento. A una parentesi, prima che i listini riacquistino nuove prospettive di vita. O, almeno, questa è l’opinione degli analisti.
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