12:00 venerdì 20 Maggio 2022

Il bluff dell’incredibile rimonta del rublo. Russia, la verità sull’economia deformata da Putin

Non lasciatevi incantare dalla rimonta del rublo che, dopo essere affondato al minimo di tutti i tempi nel mese di marzo, successivamente all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia dello scorso 24 febbraio, ha recuperato terreno a un punto tale che oggi si conferma la valuta che, dall’inizio dell’anno, ha performato meglio tra tutte quelle del mondo.

“Potete pure ignorare la ripresa del rublo russo (arancione nel grafico) – scrive su Twitter Robin Brooks, ex Goldman Sachs, ora numero uno dell’International Institute of Finance (IIF) – I controlli sui capitali significano che la liquidità non esiste”. L’economista fa notare, anche, che l’indice delle condizioni finanziare (bianco nel grafico) stilato da Goldman Sachs presenta un quadro migliore della realtà”.  Ma cge la verità è un’altra. “Le condizioni finanziarie sono super rigide e il Pil russo scivolerà del 30% entro la fine del 2022. La Russia sta implodendo…

Un articolo della Cnbc fa il punto della situazione, analizzando gli ultimi dati macro pubblicati in Russia:

sicuramente, il paese di Vladimir di Putin è riuscito finora a evitare un default sul debito espresso in valute estere, nonostante le sanzioni occidentali, che hanno congelato un bel po’ di riserve parcheggiate da Mosca in giro per il mondo. Gli Stati Uniti sono arrivati anche a chiudere i conti della Russia in dollari presenti nei forzieri delle banche americane, nell’intento di costringere Putin & Co a dover scegliere se finanziare la guerra in Ucraina, o, vista la maggiore probabilità di default, se usare i soldi delle casse di Mosca per scongiurare il disastro.

La mossa è stata decisa dall’amministrazione di Joe Biden nella speranza, insomma, di mettere Putin all’angolo. Il congelamento delle riserve russe in dollari ha costretto il Cremlino, infatti, ad attingere alle proprie riserve in dollari presenti in Russia o alle sue nuove entrate; così facendo, Putin avrà a disposizione meno dollari per continuare a finanziare la guerra in Ucraina.

Detto questo, per ora Mosca è riuscita a onorare i suoi obblighi finanziari, anche se S&P ha descritto subito la sua situazione come quella di un default selettivo , e le aste previste nel 2022 di debito russo sono state cancellate.

In questo contesto, l’inflazione della Russia è balzata al record degli ultimi 20 anni, nel mese di aprile, volando fino a +17,8% su base annua, dopo il +16,7% di marzo. Va detto tuttavia che le pressioni inflazionistiche si stanno, sebbene lentamente, sfiammando.

Proprio ieri, sono stati diffusi i numeri su base settimanale dell’inflazione. Stando a quanto riportato da Reuters, per la prima volta dopo diverse settimane, l’inflazione su base annua ha rallentato il passo, dal 17,77% della settimana precedente al 17,69%, a fronte di un tasso di inflazione settimale pari a 0,05% nella settimana terminata il 13 maggio, in ribasso rispetto allo 0,12% della settimana precedente e in forte calo rispetto al 2,2% di inizi marzo.

Il rallentamento dell’inflazione è avvenuto nonostante la Banca centrale russa (CBR) abbia proceduto a un maxi taglio dei tassi anti-recessione, e a un altro ancora, portando i tassi all’attuale 14%, dopo la maxi stretta monetaria di fine febbraio, successiva all’invasione dell’Ucraina quando, nel disperato tentativo di far risalire le quotazioni del rublo, aveva raddoppiato i tassi dal 9,5% al 20%.

Importante ricordare che l’istituzione guidata dalla governatrice Elvira Nabiullina, ormai ostaggio di Putin, ha un target di inflazione pari al 4% e prevede per l’intero 2022 un tasso di inflazione del 18-23%.

Tuttavia gli ultimi numeri, nell’indicare un indebolimento (sebbene molto lieve) della crescita delle pressioni inflazionistiche, sembrano essere di buon auspicio.

Incredibile inoltre la rimonta del rublo, che viaggia sotto quota 60 sul dollaro, dopo essere crollato al minimo di sempre, a 150 sul dollaro, lo scorso 7 marzo, a seguito dell’annuncio della carrellata di sanzioni a livello internazionale che hanno colpito Mosca.

Non mancano in questo contesto gli ottimisti sull’economia russa.

Come Liam Peach, economista presso Emerging Markets, che ha scritto questa settimana che, a suo avviso, “i numeri sull’inflazione avallano la valutazione della banca centrale, secondo cui la fase acuta della crisi russa sarebbe passata. E’ dunue possibile che i prezzi al consumo salgano di meno dell’1%, su base mensile, a maggio, e che l’inflazione headline scenda verso la fine dell’anno appena al di sotto del 20%”.

Dunque? La Russia è riuscita a schivare il peggio? Non proprio.

Certo, stride il fatto che il rublo abbia recuperato così tanto terreno fino a risalore a quota 58 sul dollaro Usa, a fronte di un euro che è riuscito a non toccare la parità sul dollaro ma che è ancora a rischio di farlo. Non solo. Mentre il rublo è salito del 39% rispetto ai livelli precedenti la guerra, il Pil della Russia ha riportato nel primo trimestre una crescita del 3,50% su base annua, rispetto alla contrazione del Pil Usa pari a -1,40% nello stesso arco temporale.

Dall’inizio dell’anno, inoltre, il dollaro ha perso sul rublo quasi il 17% .

“L’economia russa continua a recuperare terreno, rispetto allo shock iniziale di fine febbraio-inizi marzo – ha scritto in una nota Clemens Grafe, economista di Goldman Sachs- Le preoccupazioni sulla stabilità finanziaria si stanno smorzando, e il rublo si è rafforzato tornando ai livelli di inizio 2020″.

Detto questo, è il danno di lungo termine che va monitorato: le sanzioni che sono state imposte non hanno dispiegato ancora i loro effetti, e l’esodo delle società di tutto il mondo dalla Russia è un fatto.

Rrecenti le decisioni di Renault e McDonald’s di mollare il paese, dando seguito a un trend che difficilmente si fermerà, visto il danno reputazionale che i gruppi che si ostinano a rimanere nel paese scontano e rischiano di scontare ancora.

Non solo: “Entro quest’anno, assisteremo all’effetto sull’economia russa delle società che inizieranno a essere a corto di componenti o attrezzature e che dovranno iniziare a licenziare i dipendenti”, ha commentato Elina Ribakova, vice capo economista presso l’ Institute of International Finance.

Robin Brooks ha rincarato la dose:

“La nostra stessa @elinaribakova stima una contrazione del Pil della Russia pari a -15% nel 2022; quel numero sottovaluta quanto la situazione stia peggiorando; affinché la crescita annua media sia pari a -15%, il Pil deve scendere del 30% entro fine anno, fattore che riporterebbe il Pil russo ai livelli del 2005. Una implosione totale della Russia”.

E non finisce ui, perchè è stata la stessa organizzazione russa Bell a denunciare come i dati macro che stiano arrivando dalla Russia siano tutti poco credibili, quando non sono addirittura assenti: non pervenuti. Non che la cosa stupisca.

Ma l’associazione ha appena pubblicato un report da cui emerge come, se la trasparenza non è stata mai un must nel regime di Putin, ora, con la guerra in Ucraina, è stata del tutto annacquata.

L’autorità fiscale Federal Tax Service ha smesso per esempio di pubblicare i dati mensili delle importazioni ed esportazioni; la banca centrale ha interrotto la pubblicazione mensile dei numeri relativi al commercio estero e Sberbank, banca numero uno della Russia, ha smesso di pubblicare la lista dei suoi top manager.

Fox News ha intervistato il co-fondatore e direttore di Bell, e anche autore dell’articolo denuncia, Pyotr Mironenko. La stessa forza del rublo è un bluff.

Mironenko ha spiegato di fatto che “la banca centrale si sta guardando molto bene dal rimuovere le restrizioni imposte, in modo tale da rendere il rublo sempre più forte e costoso”. E ciò si spiega con la necessità di Putin di assicurarsi che il cittadino medio, passando davanti a uno sportello cambiavalute, veda che il rublo si è rafforzato a 63 nei confronti del dollaro. E che dunque arrivi alla conclusione che la situazione non sia alla fine così drammatica per l’economiazq russa.

I controlli di capitali severi che sono stati imposti dalla banca centrale non sono altro che stratagemmi per presentare una realtà che, alla fine, tanto male non è. Rimane l’obbligo imposto alle società russe di convertire l’80% del fatturato incassato all’estero in rubli.

Il Cremlino aveva inoltre vietato inizialmente ai cittadini di trasferire soldi all’estero, fissando poi un limite ai trasferimenti di denaro all’estero a 0.000 dollari al mese per gli individui.

Intervistato dalla Cnbc Charles-Henry Monchau, chief investment officer della svizzera Syz Bank, ha avvertito, a fronte delle misure pro-rublo varate da Nabiullina & Co, che la verità è che sono davvero poche persone al di fuori della Russia “a voler comprare anche un solo rublo, a meno che non sia assolutamente necessario”. E che i trader “non vedono più il rublo alla stregua di una valuta che possa essere scambiata liberamente”. Come, di fatto, è, nella realtà dei fatti indorata da Putin.

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