Società

BORSA: E’ UN BLIP
O UNA CORREZIONE VERA?

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*Antonio Cesarano e’ Head of Research and Strategy MPS Finance BM S.p.A. Questo documento e’ rivolto esclusivamente ad investitori istituzionali ovvero ad operatori qualificati, così come
definiti nell’art. 31 del Regolamento Consob n° 11522 del 1° luglio 1998 e successive modifiche ed integrazioni. Le analisi qui pubblicate non implicano responsabilita’ alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita’ di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale
di WSI.

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(WSI) –
Dopo la turbolenta giornata di ieri, può essere utile ordinare le idee su
quanto accaduto e sulle analogie (molte) e differenze (poche) rispetto a
quanto già avvenuto nel maggio del 2006. Il tutto per cercare di rispondere
al quesito prevalente in circostanze come quella di ieri: si tratta di un
movimento temporaneo? nel caso rientri in che tempi è lecito attendersi che
ciò si verifichi?

Procediamo con ordine. Innanziutto mettiamo nero su biano i punti più
evidenti e per quanto possibile oggettivi:

1) incipit arrivato dal ridimensionamento (o dal timori di
ridimensionamento ) dei carry trade: il movimento ha avuto come causa
scatenante di breve il forte calo del mercato cinese. Si è trattata della
classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. In realtà è stato il
pretesto per richiamare l’attenzione sull’eccesso di posizioni a leva
finanziate in valute caratterizzate da tassi di finaziamento prossimi a
zero (tipicamente Yen e Franco svizzero) con successivo reinvestimento in
asset con più elevato grado di rischio e rendimento (ad esempio azioni ed
obbligazioni dei paesi emergenti);
2) forte calo dei mercati azionari emergenti, rapidamente propagatosi a
tutte le aree;
3) fuga verso la qualità, alias forti acquisti dei titoli obbligazionari
governativi, in primo luogo Treasury Usa.
4) forte rialzo del premio al rischio: l’indice Embi+ spread sui titolo
obbligazionari dell’area emergente ha registrato un allargamento di circa
20pb.

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Rispetto al 2006 il movimento è praticamente analogo con una differenza :
il movimento non è partito questa volta dal comparto delle materie prime
che anzi tutto sommato ha evidenziato un andamento piuttosto composto ad
eccezione del comparto agricolo.

Nelle scorse settimane se non addirittura mesi, diversi banchieri centrali
avevano richiamato l’attenzione sul tema dei carry trade, che, insieme ad
altri fattori hanno contribuito a schiacciare in modo impressionante il
premio al rischio. Ad esempio i banchieri centrali europei ma soprattutto
il governatore della banca centrale svizzera Jean-Pierre Roth che a più
riprese ha cercato di richiamare l’attenzione sulla pericolosità delle
posizioni a leva (c.d. carry trade), consapevole del fatto che una grossa
parte era ed è finanziato proprio in franchi svizzeri, il cui profitto
poggia su un’assunzione fondamentale: la valuta di finanziamento non
comporterà rischi di perdite e quindi non si apprezzerà.
Come si può vedere si tratta di un’assunzione molto pericolosa che in
passato ha già riservato sorprese piuttosto dolorose (si ricordi il caso
della Long Term Capital Market del 1998).

In questa sede basta evidenziare come le banche centrali complessivamente
si siano interessate al tema dei carry trade richiamandone i rischi. I toni
sono diventatati via via più forti. Fin qui tutto regolare: è compito delle
banche centrali cercare di prevenire rischi di eccessi sui mercati che
potrebbero poi avere ripercussioni anche sull’economia reale.
Questi richiami assumono però una luce diversa se lette insieme alle
dichiarazioni (sempre da parte delle banche centrali) in merito
all’intenzione di diversificare le proprie riserve valutarie, non solo in
termini meramente valutari (riduzione della quota in Dollari ed aumento di
quella in Euro e Sterlina) ma anche in termini di tipologia di asset. Il
recente sondaggio condotto da Royal Bank of Scotland tra 47 banche centrali
ha ad esempio evidenziato come più della metà intenda procedere ad
investimenti direttamente sul mercato azionario.
A tal proposito la banca centrale cinese direttamente o indirettamnte ha
più volte lasciato trapelare questa inzione. Un fattore non di poco conto
se si pensa che la banca centrale cinese “siede” sul più elevato ammontare
di riserve valutarie al mondo : circa 1000Mld$. Da pochi mesi ha infatti
strappato la vetta della classifica al Giappone. Come la Cina, anche la
banca centrale russa (accreditata di circa 300Mld$ di riserve ma con un
forte tasso di crescita grazie ai proventi del petrolio e gas) ha
manifestato intenzioni analoghe.

E’ verosimilie ipotizzare che in realtà gli acquisti sul mercato azionario
siano già iniziati da un bel pò ed in parte potrebbero spiegare come mai il
rialzo ininterrotto delle borse da diversi mesi a questa parte si sia
verificato con variazioni molto contenute, alias, come si suol dire in
gergo, con livelli di volatilità molto contenuti. Altrettanto
verosimilmente è nell”interesse delle banche centrali stesse preservare un
andamento composto dei mercati benchè supportivo della crescita economica
come nel caso dei mercati azionari, in modo da avere il supporto anche
finanziario al positivo scenario macro. Per preservare però il trend di
tanto in tanto occorre consentire un rientro degli eccessi. L’operazione è
ovviamente molto delicata in quanto presenta notevoli rischi. Il peso
crescente delle banche centrali su mercati prima inesplorati (come
l’azionario e le materie prime) riduce però il grado di rischiosità.
Probabilmente qualcosa del genere è già accaduto nel mese di maggio del
2006. Anche allora il calo era stato precedeuto come oggi da
un’accentuazione dei toni forti delle banche centrali.

In sintesi.
Queste considerazioni, laddove si rivelassero corrette, porterebbero alle
seguenti conclusioni:
1) le turbolenze di ieri potrebbero continuare per ancora qualche
settimana;
2) nel frattempo gli operatori potrebbero portare le aspettative di
crescita dell’ecnomia mondiale su livelli più prudenziali rispetto
all’eccesso di ottimismo emerso ad inizio anno;
3) il rientro degli eccessi pertanto potrebbe avvenire nel giro di un mese
o poco più, come accadde già a metà del 2006, rimanendo nel frattempo
favorevole lo scenario macro di fondo.

Un’ulteriore considerazione sul tema crescita, in particolare quella Usa:
nei prossimi mesi gli operatori potrebbero apprendere la lezione di non
dare troppo per scontata l’assunzione di assenza di effetti negativi del
rallentamento del settore immobiliare Usa sui consumi, soprattutto se il
tasso di morosità sui mutui dovesse continuare ad aumentare.

Pertantoe aspettative di crescita Usa per il 2007 potrebbero spostarsi più
verso il 2,5% anziché verso il 3%.
In questo contesto la Fed potrebbe mantenere i tassi fermi per il semestre
in corso e a più riprese potrebbe acquistare peso l’ipotesi di tagli tra il
terzo ed il quarto trimestre.
Il vecchio Greenspan pochi giorni fa ha richiamato l’attenzione sui rischi
di recessione a fine anno. L’intento dell’ex presidente della Fed
probabilmente non era tanto quello di dichiarare concretamente possibile
una recessione quanto piuttosto la necessità di evitare che gli operatori
arrivino ad escludere del tutto tutto questa ipotesi, fino ad eccedere
nelle aspettative ottimistiche con il rischio di leggere come negativa una
crescita comunque molto vicina al potenziale.
La ripresa in considerazione di tale ipotesi, per quanto per ora remota,
consente e dovrebbe ancora consentire ai bond di presentare performance
positive,sebbene non paragonabili a quelle che nel semestre è lecito
attendersi da altri mercati.

Nel breve termine il flight to quality verso i bond potrebbe interessare
l’intero mese di marzo, replicando anche per tale via quanto già accaduto
nel maggio del 2006.

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