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Roberto Okabe. Sapori “do Brasil”

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A Milano, lo chef di Finger’s dà vita a un bar in perfetto stile paulista con assaggi di cucina brasiliana e live music. Un omaggio alla sua città natale

A cura di Margherita Calabi e Elisa Copeta

Roberto Okabe festeggia il decennale del Finger’s Garden con una nuova creatura: Botequinho, bar in perfetto stile paulista con assaggi di cucina brasiliana e live music. Un progetto con un team tutto brasileiro, dall’architetto Isabella Pacifico Homem alla chef Lili Gomes da Silva…


Roberto Okabe

Ne ha fatta di strada da quando, quasi vent’anni anni fa, con il calciatore Clarence Seedorf aprì a Milano un locale in una via laterale di Corso Lodi. Quanto è stato importante il vostro incontro?
“Per me è stato fondamentale. Non so se avrei fatto lo stesso percorso se avessi iniziato da solo. Ero già conosciuto nel mondo della ristorazione a Milano, avevo già lavorato alla Compagnia Generale dei Viaggiatori Naviganti e Sognatori, trattoria giapponese, e avevo creato il mio ristorante Zen, il primo kaiten sushi in Italia, dove ho conosciuto Clarence Seedorf. Era un mio cliente. Il nostro incontro è stato decisivo: grazie a lui ho ampliato e innalzato significativamente la mia clientela”. 

Il bar di Botequinho e, sotto, il ristorante con il murales di Mauro Roselli 

È vero che il suo sogno da ragazzo era quello di fare il giocatore di calcio professionista?
“Giocavo a pallone, ero bravo. Quando ero giovane il calcio era tutta la mia vita, tanto che sono andato in Giappone proprio con la nazionale brasiliana di calcio a cinque. Ho scelto di rimanere a Tokyo per imparare l’arte del sushi, ma non sono riuscito a trovare spazio come calciatore. Non era un vero e proprio sogno, come non era un sogno aprire cinque ristoranti. È venuto da sé, cosa che non è successa come calciatore: in gioventù, ho avuto la soddisfazione di ricevere molti complimenti da parte dei miei amici. Avevo talento, ma non abbastanza per diventare un professionista”. 

Botequinho è un omaggio a São Paulo, la sua città natale, dove è cresciuto e ha vissuto fino all’età di ventitré anni prima di trasferirsi in Giappone… Cosa accomuna queste due culture?
“Sono due culture profondamente diverse e credo di aver imparato da entrambe: dal Brasile ho appreso l’amore per la natura, il mare, la musica. L’allegria che si respira in questo Paese mi ha portato a essere molto socievole. Dal Giappone ho imparato la disciplina, il valore del lavoro, il rispetto per le persone, per quelle che sono più grandi di te non solo per età, ma anche gerarchicamente. Soprattutto, ho imparato un’arte culinaria che oggi è apprezzata in tutto il mondo. In Italia, mi trovo esattamente a metà tra il Brasile e il Giappone”. 

Per questo progetto ha scelto un team tutto brasileiro, a partire dall’architetto Isabella Pacifico Homem…
“In Botequinho convivono le mie tre anime: quella brasiliana, quella giapponese e quella italiana. È l’omaggio alla mia città natale e ho scelto di affidare il progetto a un architetto brasiliano che potesse ricreare l’atmosfera di São Paulo: dal pavimento, che riproduce il rivestimento geometrico in bianco e nero dei marciapiedi, alle poltroncine rosse, che richiamano gli eleganti locali notturni della città”.

L’interior del locale è caratterizzato da un’opera dell’artista Mauro Roselli, un murales in 3D che riproduce gli edifici di São Paulo che hanno caratterizzato la sua vita. Fra questi compare anche una favela. Ci spiega perché?
“Non ho mai vissuto in una favela però giocavo a calcio con i ragazzi che vivevano lì. Il 70-80% di loro erano dei grandi lavoratori, non tutti quelli che abitano nelle favelas sono criminali come vuole l’immaginario collettivo. Questa realtà mi ha insegnato il valore dell’umiltà, anche nel rapporto coi miei dipendenti, mi ha fatto capire l’importanza del riconoscere le persone che si hanno davanti, di vedere e accettarle per quello che sono”.

Non tutti sanno che per i menù di Finger’s si è ispirato a Gualtiero Marchesi e ai suoi menù degustazione. Ha fatto lo stesso per Botequinho?
“Quando sono arrivato in Italia, nel 1997, Gualtiero Marchesi era un grande maestro ammirato da tutti. Ricordo che nel suo ristorante mi colpì il menù degustazione fatto di tanti piccoli passaggi creativi e divertenti. A lui mi sono ispirato non solo per la rivisitazione della cucina tradizionale giapponese nella creazione dello stile Finger’s, ma anche per la proposta di Botequinho, dove si può prendere un aperitivo, cenare o sorseggiare un drink dopo cena spizzicando tapas in stile carioca con un tocco nikkei”. 

Tra le dolci note della bossa nova si possono gustare le creazioni della chef Lili Gomes da Silva. Quali sono i signature dish da provare?
“Come prima cosa il Casquinha de siri, un antipasto tipico brasiliano, l’equivalente di un gratin di granchio, che si gusta con qualche goccia di limone. È un piatto che mi riporta all’infanzia, poiché lo mangiavo da bambino in spiaggia. Poi c’è la classica Picanha alla brace e il Ceviche alla Paulistana, rivisitato con contaminazioni peruviane. Infine le Coxinha, delle polpettine ripiene di pollo e cipolla, formaggio o carne, che richiamano gli arancini siciliani”. 

Il suo locale è un ponte tra Sud America e Asia, che testimonia come l’integrazione sia un valore fondamentale. Quali sono i valori chiave nel suo modo di fare business?
“Ho un modo di fare business molto personale, che ha suscitato la curiosità di non pochi colleghi. Ho scelto una gestione familiare nella quale ho un rapporto diretto con tutti i miei dipendenti, li aiuto ogni volta che posso. In alcuni locali la mancia viene suddivisa in base alla propria mansione, io ho sempre voluto che la mancia fosse divisa in modo equo tra tutti. Ho sempre puntato molto sul team, solo in questo modo un imprenditore può contare al 100% su una squadra pronta a ‘combattere’ per lui”.