Boris Johnson si è dimesso dal suo ruolo primo ministro del Regno Unito. Alla fine l’ondata di dimissioni all’interno del governo inglese avvicinatisi a quota 60, è arrivata a colpire anche il premier. Nel suo discorso fuori da Downing Street di oggi alle 14, Johnson ha detto che il processo di scelta del nuovo leader del partito conservatore (i Tories) dovrebbe iniziare ora, con un calendario che sarà annunciato la prossima settimana. Johnson ha anche sottolineato che intende rimanere al suo posto fino all’elezione di un nuovo leader dei conservatori. La sua decisione di rimanere in carica fino alla nomina del suo successore arriva nonostante una chiara mancanza di sostegno all’interno del suo stesso partito e una crescente spinta in tutto lo spettro politico affinché si dimetta immediatamente.
Il pressing per le dimissioni
Il ministro delle Finanze Nadhim Zahawi è stato l’ultimo degli alleati di Johnson a esortarlo ad “andarsene subito”, affermando che la crisi politica senza precedenti sul suo futuro non è sostenibile e “non potrà che peggiorare”. L’incessante flusso di dimissioni nel governo inglese è stato drammaticamente avviato dal ministro delle Finanze Rishi Sunak e dal ministro della Salute Sajid Javid. I due ministri di alto profilo si sono dimessi a pochi minuti di distanza l’uno dall’altro martedì sera, in seguito a una disputa sulla decisione di Johnson di nominare Chris Pincher come vice capogruppo all’inizio dell’anno.
Pincher si è dimesso ed è stato sospeso come deputato del partito conservatore la scorsa settimana, in seguito alle accuse di aver palpeggiato in stato di ubriachezza due uomini in un club privato. Da allora è emerso che Johnson lo ha nominato per il ruolo nonostante fosse a conoscenza di precedenti accuse di cattiva condotta nei suoi confronti. Johnson si è scusato per aver nominato Pincher vice capogruppo. Da allora ha ripetutamente respinto le richieste di dimissioni, sostenendo di avere un “mandato colossale” per andare avanti. Giovedì, tuttavia, Johnson ha ceduto alle pressioni politiche sul suo futuro e ha annunciato che si sarebbe dimesso. Ricordiamo che solo 6 giugno scorso Johnson si era salvato dal voto di sfiducia del Parlamento britannico per una manciata di voti.
La caduta di Johnson pone fine alla sua reputazione di primo ministro “Teflon”. Il 58 enne ex sindaco di Londra era diventato famoso per la sua capacità di uscire dalle controversie politiche da qui l’appellativo Teflon. Il mese scorso, Johnson è sopravvissuto a un voto di fiducia scatenato dai suoi stessi parlamentari in seguito alla crescente insoddisfazione per la sua leadership. Il voto segreto dei legislatori Tory ha visto circa 211 deputati votare a favore di Johnson, mentre 148 hanno votato contro di lui.
Chi sono i candidati per sostituire Johnson?
Le dimissioni di Johnson comportano una gara di leadership per determinare chi diventerà il prossimo leader conservatore e primo ministro. I singoli candidati dovranno assicurarsi l’appoggio dei parlamentari Tory, mentre gli ultimi due si affronteranno in un ballottaggio tra i membri del partito conservatore.
L’ex ministro delle Finanze Rishi Sunak, il ministro degli Esteri Liz Truss, l’ex ministro della Sanità Sajid Javid, l’ex ministro degli Esteri Jeremy Hunt, l’ex segretario per il livellamento Michael Gove, il ministro del Commercio internazionale Penny Mordaunt e il ministro della Difesa Ben Wallace sono tra i favoriti per le elezioni della leadership. La società di sondaggi YouGov ha dichiarato che dal confronto dei singoli candidati è emerso che Wallace è il chiaro favorito tra i membri del partito conservatore per diventare il prossimo leader del partito.
La reazione dei mercati
Per quanto riguarda la reazione dei mercati, la notizia delle dimissioni ha contribuito a far salire la sterlina rispetto alla maggior parte delle altre valute: la valuta britannica è salita dello 0,4% a 1,1979 dollari poco dopo l’annuncio di Johnson. Ma i movimenti sono stati relativamente modesti, osserva Azad Zangana, senior European economist e strategist di Schroders. La valuta inglese è salita fino a 1,2024 rispetto al dollaro e scambia ora a 1,1998 mentre l’euro è sceso fino a un minimo di 85,12 pence, per poi risalire a 85,23. In merito poi al cambio euro/dollaro si mantiene ancora ai minimi storici dal 2022.
Secondo Ben Laidler, global markets strategist di eToro, “gli investitori hanno ignorato le dimissioni del primo ministro britannico, in spregio alla sua importanza per i mercati”. La sterlina si è rafforzata oggi, il FTSE 100 è in rialzo e il FTSE 250, più focalizzato sul mercato interno, è in testa. Lo strategist scrive:
“I mercati potrebbero accogliere con favore il passo verso una minore incertezza politica, con elezioni generali non previste fino a gennaio 2025 e, nel frattempo, potenziali tagli fiscali per sostenere l’economia in indebolimento. Ma questo ci ricorda che i mercati non sono economie. Nonostante l’impennata dell’inflazione nel Regno Unito, il crollo della crescita economica e l’incertezza politica, il FTSE100 è il mercato azionario globale con la migliore performance di quest’anno. È sceso solo del 4% rispetto ai cali del 20% dell’S&P 500 statunitense e del Dax tedesco, beneficiando del suo mix di titoli a basso costo legati alle materie prime e di titoli difensivi ad alto dividendo”.
Laura Foll, UK portfolio manager di Janus Henderson, sottolinea:
“In un’ottica di più lungo periodo, la valuta britannica continua a essere scambiata a un livello significativamente più basso rispetto a quello precedente al voto sulla Brexit nel 2016, per cui ogni ulteriore indebolimento esaspera le tendenze preesistenti, ad esempio aumentando il prezzo dei beni importati e quindi esercitando un’ulteriore pressione al rialzo sull’inflazione (il che non è positivo visti gli attuali livelli di quest’ultima). Il livello della sterlina ha anche un impatto diverso sulle differenti aree del mercato azionario britannico: le società con consistenti guadagni all’estero si avvantaggeranno di un beneficio di conversione positivo, mentre alcune società nazionali che si affidano all’acquisto di fattori produttivi in dollari subiranno un’ulteriore pressione al rialzo dei costi di input. Al di là dell’effetto sulla sterlina, l’incertezza politica arriva in un momento in cui il sentiment nei confronti dei titoli azionari britannici è già non particolarmente positivo, come dimostrano le valutazioni delle società britanniche, in molti casi più basse rispetto a quelle estere, e i recenti dati sui flussi netti delle azioni britanniche. Gli eventi di questa settimana, anche se è improbabile che questo peso eccessivo sulle azioni del Regno Unito venga risolto nel breve termine, potrebbero far sì che, una volta insediato un nuovo leader, il rischio politico aggiuntivo percepito associato all’azionario del Regno Unito venga eliminato. In questo modo, l’incertezza politica che ha costituito parte dell’incognita sui titoli azionari del Regno Unito viene superata”.