Se l’inflazione a fine anno resterà all’8%, la spesa previdenziale, associata prevalentemente alle pensioni, salirà a 24 miliardi di euro nel 2023. Il dato arriva dal XXI Rapporto annuale dell’Inps, precisando che sulla base dei dati al primo gennaio 2020, il disavanzo patrimoniale dell’istituto potrebbe arrivare a 92 miliardi nel 2029. Non esiste un problema di sostenibilità come hanno spiegato i tecnici dell’Istituto nazionale di previdenza. Ma c’è un “ma”: “Ci vogliono crescita economica e produttività per un sistema in equilibrio“.
Le pensioni assorbono il 92% della spesa previdenziale
In generale, si legge nel rapporto, le pensioni di anzianità/anticipate, vecchiaia, invalidità e ai superstiti, assorbono il 92% della spesa previdenziale, mentre le prestazioni assistenziali, ovvero le prestazioni agli invalidi civili e le pensioni e gli assegni sociali, il restante 8%. La voce che incide di più sulla spesa Inps sono le pensioni di anzianità/anticipate con il 56% del totale, seguite dalle pensioni di vecchiaia che assorbono il 18% e dalle pensioni ai superstiti che assorbono il 14%. Le prestazioni agli invalidi civili rappresentano il 7% del totale; per ultime ci sono le pensioni di invalidità e le pensioni e assegni sociali, che rappresentano rispettivamente il 4% e il 2%.
Le misure intraprese dal Governo per il sostegno dei redditi a fronte dell’aumento dell’inflazione “sembrano andare nella giusta direzione di non innescare una spirale inflazionistica, intervenendo a sostegno dei redditi, soprattutto quelli medio-bassi”, ha affermato il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico. Che ha aggiunto:
“In questo contesto, dice, si esplica nuovamente l’impegno dell’Istituto, in relazione ai bonus sociali e all’indennità di 200 euro erogata con il Decreto Aiuti, facendosi tramite verso ben 31 milioni di utenti tra lavoratori, pensionati, disoccupati. La maggioranza delle indennità è erogata d’ufficio dall’Istituto”.
Il dato tiene conto anche di quelle anticipate dalle aziende e compensate con l’Inps.
Il 32% dei pensionati percepisce meno di 1.000 euro al mese
Dal rapporto annuale dell’Inps emerge che nel 2021 sono stati erogati 20,8 milioni di trattamenti previdenziali, mentre i pensionati hanno raggiunto quota 16 milioni (15,5 milioni quelli con pensione liquidata dall’Istituto).
Dal rapporto dell’Inps emerge anche che nel 2021 i pensionati con redditi da pensione inferiori a 1.000 euro al mese erano il 32% del totale, ossia circa 5,12 milioni di persone.
L’Inps evidenzia che la percentuale di pensionati con reddito inferiore a 12 mila euro è però pari a 40% se si considerano solo gli importi delle prestazioni al lordo dell’imposta personale sul reddito.
Secondo il rapporto Inps, inoltre, con 30 anni di contributi versati e un salario di 9 euro lordi l’ora, un lavoratore potrebbe avere una pensione a 65 anni di circa 750 euro.
Nel rapporto, l’Istituto guidato da Tridico ha anche ipotizzato il futuro previdenziale della generazione X (i nati tra il 1965 e il 1980) sottolineando che i più giovani dovranno lavorare in media tre anni in più rispetto ai più anziani.
Se il soggetto percepisse 9 euro l’ora per tutta la vita attiva, si stima che l’importo di pensione si aggiri sui 750 euro mensili (a prezzi correnti), un valore superiore al trattamento minimo, pari a 524 euro al mese per il 2022.
I pensionati a fine dicembre 2021 erano 16 milioni per un importo lordo complessivo di quasi 312 miliardi (+1,55% sul 2020). Inoltre, sebbene le donne siano il 52% del totale (8,3 milioni a fronte di 7,7 milioni di uomini), percepiscono solo il 44% dei redditi pensionistici ovvero 137 miliardi di euro contro i 175 miliardi dei maschi. L’importo medio mensile dei redditi percepiti dagli uomini “è superiore a quello delle donne del 37%”.
Inoltre, dice l’Inps, se in media i pensionati percepiscono 1.620 euro al mese, le donne ricevono 1.374 euro: oltre 500 euro in meno degli uomini (1.884).