(9Colonne) – Roma, 28 mar – “Non ho nulla da perdonare a mio marito” scrive la moglie di Silvio Sircana in una lettera a Repubblica. Livia Aymonino smentisce l’imminente pubblicazione “da parte di qualche settimanale di mie interviste esclusive e di ricostruzioni fantasiose in base alle quali io avrei perdonato mio marito, non avendo mai concesso alcuna intervista e non avendo mai avuto nulla da perdonare”. “Bisogna stare dritti – scrive la moglie di Sircana, figlia del noto urbanista Carlo e della scrittrice Ludovica Ripa di Meana – . Quando ondate di fango, di parole, di dolore, di nulla ti travolgono a tua insaputa, malgrado te, bisogna stare dritti perché se ti pieghi hanno vinto loro, le calunnie, le parole, il fango, il nulla. Ho visto giorni migliori ma, come è noto, non c’è limite al peggio”. “Siamo normali come le centinaia di persone che in questi giorni complicati ci sono state accanto con silenzio, rispetto e affetto – prosegue Livia Aymonino -. Poi ci sono gli altri: i professionisti della bugia, della parola, dei dibattiti, del sospetto, dei giudizi senza ragioni. Che hanno fatto male, molto male, a me, a noi, a loro stessi, senza pensarci troppo. E che hanno trasformato in basso e strisciante un dibattito alto che meriterebbe riflessione e pacatezza, quello della libertà di stampa e quello della libertà dell’individuo, dove finisce l’uno e inizia l’altro, cosa si è chiamati a fare e a essere quando si diventa persona pubblica e onorevole, in tutti i sensi. Del resto dalle situazioni peggiori si impara sempre qualcosa e noi siamo e restiamo persone curiose e non presuntuose, forti ma non arroganti, sempre pronte ad imparare e a mettersi in discussione. Ce l’hanno insegnato le nostre famiglie, la nostra cultura, la nostra generazione e abbiamo il compito morale, familiare e politico di insegnarlo alle generazioni future”. “Un mondo dove la volgarità è diventata un ‘sito di dominio’ come su Internet – prosegue la lettera -, dove le opinioni contano sempre più dei fatti, dove l’apparire si confonde con l’essere e la vittima con il colpevole. Una favola di Esòpo all’incontrario, dove la morale è capovolta e dove vince sempre il cattivo a discapito del buono o dell’inerme. Ecco cosa è stato mio marito e cosa siamo stati tutti noi in questi lunghi giorni: degli inermi in una favola rovesciata, dove la parte lesa si trasforma in colpevole senza appello, senza possibilità di fuga se non quella della resa. Delle belle, grasse vittime da sacrificare in nome dello scoop, della battaglia politica, della falsa morale”.
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