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Ray Dalio pronto ad uscire dalla Cina? Per ora scarica Alibaba e altre quattro società cinesi

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Il fondatore di Bridgewater Associates, Ray Dalio, tra i maggiori investitori bullish sul mercato cinese, ha liquidato l’intera partecipazione nel gigante dell’e-commerce Alibaba. Secondo i documenti della Securities and Exchange Commission, Bridgewater avrebbe anche venduto le sue posizioni in altri quattro titoli cinesi, tra cui JD.com e Didi, mantenendo le sue azioni nei giganti della tecnologia cinese Tencent e Baidu. Si tratta di una mossa senza precedenti, di cui non si conoscono le ragioni.

La scorsa settimana, il noto gestore dell’hedge fund si ha espresso forti preoccupazioni per la crisi nello Stretto di Taiwan. “Quello che sta accadendo ora tra gli Stati Uniti e la Cina a Taiwan è un classico percorso di guerra”, ha spiegato, aggiungendo che  l’escalation di ritorsioni tra Stati Uniti e Cina legate alla questione Taiwan potrebbero portare a un conflitto più devastante per l’economia globale della guerra in Ucraina.

Dalio ha osservato che la Cina rappresenta circa il 15% delle esportazioni globali rispetto al 2% della Russia, secondo i dati di Statista e delle Nazioni Unite. Secondo l’Office of the US Trade Representative, la Cina rappresenta anche il 19% delle importazioni statunitensi di prodotti manifatturieri, il che significa che eventuali sanzioni economiche imposte alla Cina metterebbero in difficoltà una fetta dell’economia americana e creerebbero una catena di conseguenze a catena effetto domino per il resto del mondo.

“Immaginate cosa significherebbero le sanzioni alla Cina per il mondo intero. Le catene di approvvigionamento crollerebbero, l’attività economica precipiterebbe e l’inflazione si impennerebbe”, ha detto Dalio. E questi sono solo gli effetti di una guerra economica: una guerra militare potrebbe peggiorare la situazione”.

Crescono le tensioni tra Usa e Cina, mentre aumentano i delisting

La decisione di Dalio arriva in mezzo a un rallentamento dell’economia cinese provocato da un continuo crollo nel suo importantissimo mercato immobiliare e dall’aumento delle tensioni sino-americane dopo la visita di Nancy Pelosi a Taiwan. Anche Wall Street è coinvolta nella rivalità tra Washington e Pechino.

Tutto questo mentre è attesa un’ondata di delisting di società cinesi quotate a Wall Street, che potrebbero presto abbandonare il mercato americano per via di una legge firmata a fine 2020 dall’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump, secondo la quale le autorità di regolamentazione americane sono state autorizzate a rivedere il loro audit finanzario. Nel dettaglio, oltre a dare alle autorità americane la facoltà di richiedere alle società di dimostrare che non sono né di proprietà, né controllate da un governo straniero, consente loro anche di rivedere i conti finanziari.

Per questa ragione già cinque delle più grandi società statali cinesi, in una mossa non esplicitamente coordinata ma attuata contemporaneamente, hanno annunciato l’intenzione di revocare le loro azioni dalle Borse statunitensi. Si tratta di China Life Insurance, PetroChina, China Petroleum & Chemical, Aluminium of China e Sinopec Shanghai Petrochemical.

Ma questo è solo un assaggio. Circa 200 società cinesi quotate negli Stati Uniti e rischiano di dover affrontare minacce di delisting perché le autorità di regolamentazione americane non sono in grado di verificare i loro audit finanziari.