Non si arresta la corsa dei prezzi in Turchia. Nel mese di agosto, il tasso di inflazione in Turchia ha superato la soglia dell’80% annuo (80,2% per la precisione) in ulteriore accelerazione rispetto al 79,6% in luglio. Si tratta di un nuovo record dall’estate del 1998. Un record che continua ad avere pesanti ripercussioni sulla lira turca, in continua caduta, e che appare favorito dalle strategie poco ortodosse dalla banca centrale turca che, a fronte dell’impennata dei prezzi, continua a tagliare i tassi di interesse, invece che aumentarli.
I prezzi sono saliti maggiormente nel settore dei trasporti (116,87%), arredamento per la casa (92,02%), cibo e bevande non alcoliche (90,25%), bevande alcoliche e tabacco (82,49%), hotel e ristoranti (80,95%). Unica nota positiva, la crescita dei prezzi più lenta su base mensile: da luglio ad agosto l’aumento dei prezzi è stato dell’1,46% dal 4,95% rilevato in precedenza.
Pesanti le ripercussioni sul mercato valutario. La lira turca in un anno ha perso quasi il 55% rispetto al dollaro Usa.
Le teorie di Erdogan sui tassi di interesse
Il presidente Recep Tayyip Erdogan, che di fatto controlla le decisione dell’istituto di politica monetaria del paese, è infatti convinto che la ricetta per contenere l’inflazione sia una politica monetaria espansiva, ossia l’opposto di quello che fanno tutte le banche centrali autonome in queste condizioni.
Quando i prezzi corrono, i tassi di interessi solitamente sono rialzati. In tali circostanze, così come sta succedendo negli Stati Uniti e in Europa, contrarre prestiti diventa più costoso e, dunque, si riduce la quantità di denaro in circolazione, un fattore che contribuisce a rallentare l’inflazione.
Ma Erdogan la pensa diversamente. Tant’è che lo scorso agosto la banca centrale ha abbassato ulteriormente i tassi dal 14 al 13%. Il peggioramento del contesto internazionale certo non aiuta, visto che la Turchia è un paese che trasforma beni primari, e quindi dipende molto dall’estero per le sue forniture, a cominciare da quelle energetiche. E questo spiega come il settore dei trasporti sia uno dei più penalizzati dai rincari, insieme a quello degli alimentari.