I contratti assegnati alle imprese italiane dal Governo venezuelano negli ultimi tre anni superano i 10 miliardi di dollari, mentre possono essere valutati ad altri 13-14 miliardi di dollari quelli già pronti, ma non firmati e quelli in discussione. Lo annuncia l’ambasciatore d’Italia a Caracas, Gerardo Carante. In una intervista che pubblica nei giorni scorsi il quotidiano La Voce d’Italia, Carante sostiene che, “da quanto abbiamo comunicato ufficialmente a Roma, possiamo stimare che i contratti già firmati dalle imprese italiane negli ultimi due o tre anni sono sicuramente superiori ai 10 miliardi di dollari. Ci sono poi – aggiunge – appalti per 7-8 miliardi di dollari che sono pronti, ma non sono stati ancora siglati e altri, più o meno per la stessa somma, per i quali il presidente Hugo Chavez ha espresso il suo favore e che sono in via di negoziato”.
Fondamentalmente, specifica l’ambasciatore, “riguardano il settore delle infrastrutture, innanzitutto ferrovie e metrò”. Il diplomatico sottolinea inoltre che le imprese italiane “sono presenti anche in progetti riguardanti dighe, porti e ospedali. Ci sono poi – sottolinea ancora – negoziati in essere in tantissimi altri settori, dalle joint venture per autobus a gas alle forniture in campo navale, alle joint venture nell’industria pesante, dall’acciaio all’alluminio”.
Intanto il Venezuela si appresta a togliere tre zeri al bolivar e a introdurre una nuova moneta, il “bolivar fuerte”, che varrà tremila vecchi bolivar. Secondo il governo Chavez la conversione della moneta dovrebbe consentire di ridurre la forte inflazione del Paese, che si aggira attorno a un tasso annuo del 20-21 per cento.
Al momento il bolivar viene convertito al tasso ufficiale di 2,174 per dollaro, mentre sul cambio libero la moneta venezuelana viene valutata a circa 3,798 per dollaro. Teoricamente con il nuovo sistema il cambio passerà a 3,8 bolivares per dollaro. Il Venezuela è l’ultimo dei Paesi sudamericani a creare una nuova conversione monetaria, poi è rimasto solo il Cile. Le modifiche dei rapporti tra vecchie e nuove monete non hanno dato risultati brillanti e, in alcuni casi quali l’Argentina, hanno creato condizioni di crisi permanente dei cambi e non hanno assolutamente frenato l’inflazione. Solo negli ultimi anni le spinte inflazionistiche si sono generalmente attenuate, anche se quasi ovunque superano ancora il 10 per cento l’anno. Da questo punto di vista il Venezuela è il Paese con la peggiore situazione della regione.
Per vari decenni la moneta di Caracas è stata un simbolo di stabilità , attirando tra l’altro importanti capitali privati italiani e sino alla fine degli anni Ottanta veniva liberamente cambiata a un tasso di 3 bolivar per dollaro. Successivamente la fuga di capitali dal Venezuela, i bassi prezzi petroliferi, il crescente indebitamento estero e l’aumento dell’inflazione hanno portato a un rapido peggioramento. Nel 1988 viene adottato il cambio di 14 bolivares per dollaro, rimasto in vigore solo per alcuni mesi. Successivamente la situazione è peggiorata e i tentativi da parte della Banca centrale di controllare i cambi sono stati in gran parte abbandonati. Negli ultimi mesi la fuga di capitali all’estero è nuovamente aumentata e si stima che circa 22 miliardi di dollari abbiano lasciato il Paese dall’inizio dell’anno.
Appare probabile, sulla base dei precedenti, che la “riforma” monetaria di Chavez potrebbe avere vita breve. Come ha sempre tradizionalmente cercato di fare, lo Stato venezuelano cercherà di impostare macchinose ma inefficaci strutture di controllo sui cambi e sul flusso dei capitali con il rischio di portare a una recessione. A favore del presidente giocano, però, il buon andamento delle quotazioni petrolifere e in generale dei metalli non ferrosi di cui il Paese è produttore e il buon andamento dell’economia.
L’indebitamento verso l’estero è relativamente ridotto: circa 30 miliardi di dollari, più che coperti dalle riserve valutarie e dalle entrate derivate dalle esportazioni. Il surplus commerciale si aggira, invece, attorno ai 35 miliardi di dollari e quello delle partite correnti a 28 miliardi. Più che sufficienti per finanziare, per ora, anche le irritanti, per gli americani, iniziative economico-politiche intraprese dal governo Chavez sia in America Latina sia all’estero, come quella delle forniture a prezzi politici di diesel al sistema dei trasporti urbani di Londra.
d. r.