Gli analisti di Deutsche Bank AG ne sono convinti: l’azionario statunitense potrebbero scivolare di un ulteriore 25% se l’economia finisse in recessione. Uno scenario che al momento non appare del tutto certo, ma che non viene escluso.
Al momento ci sono due prospettive campo: nel caso in cui l’economia Usa dovesse scivolare in una recessione, si assisterebbe ad un significativo calo delle quotazioni rispetto ai livelli attuali”, hanno scritto in una nota gli esperti, ribadendo che l’indice S&P 500 potrebbe scivolare fino a 3.000 punti nel suo scenario peggiore – quasi il 25% in meno rispetto alla chiusura di mercoledì. Se la recessione fosse evitata, “ci aspettiamo che il mercato ritorni bruscamente ai massimi precedenti”.
La recessione in Usa
Per ora la banca d’affari tedesca ha mantenuto il suo obiettivo di fine anno: ovvero di un S&P 500 a 4.750 punti, in rialzo del 19% rispetto ai livelli attuali. “Gli indicatori principali sono coerenti con una recessione, ma non segnalano che l’economi Usa ci sia già dentro“, dicono gli analisti, segnalando che a fronte di profitti aziendali destinati a scendere, le valutazioni azionarie appaiono ancora elevate.
Tra i principali rischi segnalati per la Borsa Usa ci sono le valutazioni troppo alte a fronte di “utili elevati di fine ciclo”. Sebbene la stagione dei risultati del secondo trimestre sia stata più forte del previsto – ricordano gli esperti- ciò si deve principalmente all’aumento dei prezzi del petrolio, che ha gonfiato gli utili delle società energetiche. Ma da ora in poi il quadro potrebbe cambiare.
Le stime di Deutsche Bank sono sostanzialmente coerenti con quelle dei colleghi di Goldman Sachs Group e Morgan Stanley, anche loro convinti che le azioni potrebbero scivolare verso nuovi minimi a causa del rallentamento della crescita economica. Ricordiamo che l’S&P 500 ha già cancellato circa metà dei guadagni estivi poiché l’ottimismo sugli utili è svanito e gli investitori temono una politica più aggressiva più a lungo da parte della Fed.
Gli appuntamenti cruciali da non perdere
L’attenzione ora è concentrata sul presidente della Fed Jerome Powell, il cui discorso di giovedì 15 settembre dopo la decisione di politica monetaria potrebbe offrire indizi su quanto aggressiva potrebbe dover assumere la banca centrale mentre combatte l’aumento vertiginoso dell’inflazione.
Un indicatore molto importate potrebbe intanto arrivare oggi con la diffusione dei dati sull’inflazione Usa di agosto, prevista in marginale calo (-0,1% m/m) per l’indice headline e in aumento di 0,3% mese su mese per l’indice core, con rischi al rialzo. Il mercato si aspetta che l’inflazione abbia raggiunto il suo picco e aspetta le indicazioni in arrivo dai prezzi per capire quali saranno le mosse della Fed, che si riunisce la prossima settimana.
Come spiegano a questo proposito gli analisti di Intesa Sanpaolo, “l’indice headline risente della correzione del comparto energia, in atto da giugno. L’attenzione sarà concentrata sul core, che potrebbe dare un secondo segnale di rallentamento della dinamica mensile, dopo lo 0,3% m/m di luglio. La moderazione del dato del mese scorso dovrebbe provenire da alcune voci volatili (auto usate, tariffe aeree e alberghiere), oltre che dall’abbigliamento, che dovrebbe riflettere sconti collegati alla volontà di ridurre le scorte. Possibili persistenti pressioni verso l’alto invece dovrebbero riguardare ancora gli alimentari, l’abitazione, la sanità e gli altri servizi, su cui gravano gli effetti di salari in continua crescita. Sarà più rilevante valutare l’andamento della diffusione di aumenti superiori alla media con la successiva pubblicazione dell’inflazione mediana e della media troncata. Anche un aumento del CPI core di 0,3% m/m a nostro avviso non sarebbe incompatibile con un rialzo di 75 pb alla riunione della prossima settimana: diversi partecipanti al FOMC, incluso Powell, hanno detto che occorrono diversi mesi di inflazione più moderata per dare un segnale convincente di rallentamento duraturo”.