Elezioni italiane, quali conseguenze per economia e mercati?
Si è appena conclusa una campagna elettorale insolitamente rapida, consegnando il paese a un governo politico di centrodestra dopo le elezioni politiche italiane. Nonostante le molte indiscrezioni e i vari rumor di corridoio, la composizione del governo – informazione di non secondaria importanza per i mercati – è una variabile ignota ancora. Vorrei come sempre concentrarmi su economia e mercati, con tre riflessioni:
1. Per AXA IM il risultato delle elezioni è sostanzialmente un “non evento“. Alla luce del programma Next Generation EU, nessun partito ha un incentivo a disturbare il flusso di fondi previsto a finanziamento del PNRR. Non a caso, i toni su temi come l’immigrazione e la moneta unica sono stati molto pacati, in particolare rispetto alle scorse elezioni. È molto improbabile, quindi, un inasprimento delle relazioni tra Roma e Bruxelles solamente sulla base di tematiche cosiddette “populiste”.
2. Non si è parlato abbastanza, invece, di temi scottanti come la ormai probabile recessione che attende al varco il nuovo governo nei prossimi mesi. In particolare, nessuna formazione politica si è espressa sulla transizione da tassi negativi e inflazione inesistente a tassi positivi e inflazione galoppante. Questa transizione potrebbe rivelarsi un problema non solo per le famiglie e le imprese, ma anche per la sostenibilità del debito pubblico che per anni ha goduto del sostegno diretto e indiretto da Francoforte. I mercati obbligazionari sono parecchio stressati in questo bear market (l’indice Bloomberg Global Government Bonds ha perso il 20% da inizio anno) e le scelte di politica fiscale possono essere fonte di ulteriore stress, come evidenziato dalle recenti forti perdite dei Gilt inglesi. E stiamo parlando di un paese a cui certo non manca la sovranità monetaria…e qui mi fermo.
3. L’economia che il nuovo governo erediterà dall’esecutivo Draghi è una economia afflitta da una inflazione mai vista nel periodo dell’euro. Talmente alta che in alcuni paesi, per esempio in Germania, bisogna scomodare l’economia di guerra per poter tracciare dei paralleli. Un’economia coinvolta indirettamente – a torto o a ragione – in un conflitto a Est, che vede aumentare di giorno in giorno la fragilità e la frammentazione dell’Unione, nonché il deficit commerciale. Un’economia che ha visto un aumento dello spread tra Btp e Bund di circa 150 punti base dal febbraio 2021, che purtroppo si va a sommare al rapido aumento dello yield sui governativi tedeschi, incidendo non poco sul costo di finanziamento pubblico. Un’economia che è cresciuta rapidamente, grazie al rimbalzo tecnico post-Covid nonché all’euforia associata al PNRR firmato da Giuseppe Conte, ma il cui debito è ulteriormente aumentato di circa 130 miliardi negli ultimi 18 mesi.
Non esistono né ricette magiche – il mio pensiero va alla Nuova Teoria Monetaria – né maghi o tantomeno streghe. Esiste invece uno scenario macro duro da accettare sia a Francoforte (basti guardare le ultime previsioni del capo economista della Bce, Philip Lane), come a Roma. In passato eravamo di fronte a shock gestibili dall’unione tra politica fiscale e monetaria, ma questa volta la politica monetaria è concentrata a contenere l’inflazione, mentre quella fiscale potrebbe addirittura influenzare positivamente le aspettative di inflazione con un susseguirsi di stimoli generici e mal calibrati, molto simili insomma ai vari pacchetti che l’amministrazione Carter inaugurò verso la fine degli anni settanta.