di Roberto Savelli, presidente di Save Consulting Group
Il grido di allarme del Pianeta che si è levato da Sharm el-Sheikh durante la COP 27, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, ha rilanciato con forza il tema della sostenibilità sul fronte dell’economia, così come della finanza e, in generale, del “fare impresa”. Ma il summit svoltosi sul Mar Rosso non è che l’onda lunga dell’accordo di Parigi del 2015 con l’adozione dell’Agenda 2030 dell’Onu.
Il segnale di soccorso per il salvataggio della Terra dall’emergenza climatica inviato dalla Cop 27 al mondo fa lievitare l’importanza dell’ESG – Environmental (ambiente), Social (società) e Governance – diventato ormai un pilastro a cui fare riferimento per misurare l’impegno ambientale, il rispetto dei valori aziendali e la disponibilità di un’azienda ad agire con accuratezza e trasparenza o meno. L’ESG è ormai un asset cruciale per la sfida etica che esse rappresentano e da cui dipende la valutazione e la percezione pubblica di un brand o di un investimento.
Il peso dell’ESG destinato a crescere in futuro
È risaputo che fatturato, margine operativo e utile non siano più le sole voci che fotografino lo stato di salute di un’impresa agli occhi degli stakeholder e dei mercati. È richiesto di più. L’ESG si è ritagliato con forza e rapidità negli ultimi tre-quattro anni un ruolo chiave tra gli indicatori valutati da investitori, clienti, dipendenti, fornitori, azionisti.
Tanto che, da qualunque punto di vista si guardi la questione, risulta evidente come il peso dell’ESG sia destinato a crescere nei prossimi anni. A maggior ragione quando la Commissione europea avrà portato a termine la silenziosa rivoluzione contabile in corso a Bruxelles, il cui eco però si farà sentire in futuro in tutto il Vecchio Continente, considerato che il traguardo è un’economia a zero emissioni e resiliente al clima entro il 2050.
Csrd, la nuova normativa europea
Per raggiungere questa meta l’Ue ha già messo a punto un piano d’azione articolato in quattro “tappe” normative: la Corporate sustainability reporting directive (Csrd), la Sustainable finance disclosure regulation (Sfdr), la EU Taxonomy regulation e la Low-carbon benchmark regulation.
Per erigere questi quattro pilastri della rendicontazione europea della sostenibilità, la Commissione ha incaricato l’Efrag a formulare gli standard contabili necessari per redigere i bilanci aziendali ESG.
L’Efrag ha già fatto un primo passo: ad aprile 2022, ha pubblicato i 13 exposure drafts (Ed) preparati dalla task force al lavoro sugli European sustainability reporting standards (Esrs) e ha avviato una consultazione che si è conclusa ai primi d’agosto. All’esame c’erano gli standard trasversali, ambientali, sociali e di governance che sono stati finalizzati entro metà novembre. I tempi sono sempre più stretti, dato che la Commissione europea punta ad adottare tale pacchetto di standard entro il 30 giugno 2023.
In sintesi all’Efrag, che si occupa dei principi contabili internazionali, è stato affidato il compito di elaborare delle metriche comuni e uniformate che permetteranno di misurare l’impatto ambientale e sociale delle aziende anche alla luce della neonata Csrd, che è stata approvata dal Parlamento di Strasburgo lo scorso 10 novembre e di cui il 28 novembre si è tenuta la votazione finale da parte del Consiglio europeo.
Quest’ultima è la direttiva di rendicontazione di sostenibilità aziendale, che sostituisce la precedente direttiva Nfrd (Non Financial Reporting Directive), e a cui dovranno obbligatoriamente attenersi tutte le imprese di grandi dimensioni e le imprese quotate nei mercati regolamentati. L’obiettivo della Csrd è di accrescere la trasparenza in materia ambientale, sociale e di governance, contrastare il greenwashing e rafforzare l’impronta sostenibile dell’economia e del mercato europeo.
Questa nuova direttiva amplia il perimetro di rendicontazione secondo il principio della doppia materialità. Il cosiddetto “double materiality” esige, da un lato, la descrizione dell’impatto delle attività aziendali sull’ambiente e la società (impact materiality); dall’altro, la rappresentazione degli effetti dei fattori di sostenibilità (ESG) sulla situazione economica e finanziaria dell’impresa (financial materiality).
Detto in sintesi del suo architrave normativo, in dettaglio, questa nuova normativa interessa le organizzazioni che presentano due dei tre requisiti previsti: numero di dipendenti superiore a 250, patrimonio di oltre 20 milioni di euro, fatturato di oltre 40 milioni di euro. Inoltre devono ottemperare alla Csrd anche tutte le società quotate in un mercato regolamentato all’interno dell’Unione Europea, con più di 10 dipendenti e un fatturato superiore ai 20 milioni di euro. Infine la direttiva riguarda anche le società non europee che generano un fatturato netto di 150 milioni di euro all’interno dell’Unione europea e hanno almeno una filiale o una succursale in uno dei Paesi Ue.
Si prevede che tali società, che rientrano nel campo di applicazione della Csrd (si stima fino a 50mila in Europa), debbano rendicontare in conformità con gli standard europei di rendicontazione della sostenibilità (Esrs) disciplinati dagli atti delegati che saranno adottati dalla Commissione europea, sulla base della consulenza tecnica fornita dall’Efrag. Cosi come dovranno essere considerate anche le esigenze informative che arrivano dalla Sustainable finance disclosure regulation (Sfdr), dalla Eu Taxonomy regulation e dal Banking capital requirements regulation (Crr).
Sostenibilità, banche e concessione del credito
A questo riguardo non va sottovalutata l’applicabilità della tassonomia verde per le banche commerciali che è in fase di definizione da parte dell’Autorità bancaria europea (Eba). Occorre ricordare che, nel marzo 2021, l’Eba ha avanzato la richiesta alla Commissione europea di obbligare le banche a rendere noto un indice di attività verdi (Green asset ratio o Gar). Nel gennaio di quest’anno, sempre l’Eba ha pubblicato gli standard vincolanti per l’informativa sui rischi ambientali, sociali e di governance (Esg). Ma non è tutto: nell’aprile 2022, con riferimento al regolamento Ue sull’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari (Sfdr), la Commissione Ue ha accolto gli standard tecnici (in vigore dal 2023) che gli operatori dei mercati finanziari dovranno usare non solo per divulgare le informazioni sulla sostenibilità, ma anche su come intendano ridurre gli eventuali rischi che i loro investimenti potrebbero avere su ambiente e società.
Da ciò si può desumere che l’impatto dell’ESG nel mondo bancario/finanziario è quindi duplice. Anzitutto, la necessità di adeguarsi il più rapidamente possibile ai nuovi criteri ESG, per mostrare di essere aziende responsabili e di pubblicare già dal prossimo 31dicembre 2022 nella relazione annuale (Pillar 3 – disclosure) quanto proposto da Eba. A questo proposito noi di Save Consulting, abbiamo già predisposto gli adeguamenti alla nostra suite TigreArm per renderla compliance alle nuove norme.
In secondo luogo di adeguarsi alle normative Esg, vuol dire riposizionandosi sul mercato della concessione del credito in termini non solo di affidabilità creditizia ma anche di sostenibilità. Su quest’ultimo punto la strada da percorrere pare ancora lunga: da un lato, c’è la necessità di mantenere gli attuali business (che portano redditività al conto economico) anche con nazioni e operatori i cui i concetti Esg sono scarsamente applicati; dall’altro, la sempre più stringente normativa che andrà a svilupparsi nei prossimi anni imporrà maggiori vincoli a esposizioni non Esg compliant.
In quest’ottica ha ragione Paolo Angelini, vice direttore generale della Banca d’Italia, quando, nel suo intervento “I rischi finanziari posti dai cambiamenti climatici: carenze informative e piani di transizione”, all’Associazione nazionale per lo studio dei problemi del credito, a Milano lo scorso 15 novembre, ha evidenziato che “la transizione verso un’economia con minori emissioni di gas a effetto serra porta con sé rischi e opportunità per il settore finanziario. Gli intermediari devono prepararsi ad affrontare questa sfida integrando nei processi creditizi e di investimento i rischi derivanti dal cambiamento climatico e quelli legati ai possibili effetti della transizione. A questo fine devono migliorare la quantità e la qualità delle informazioni utilizzate internamente e di quelle comunicate al mercato. Le azioni intraprese dalle autorità europee in materia di rendicontazione di imprese e banche, che ho ricordato, contribuiscono a questo obiettivo”.
La speranza di una convergenza Efrag-Ifrs
Come si può facilmente comprendere, la materia è complessa e articolata, se si tiene conto anche che l’Efrag lavorerà anche alla stesura della Guida per il reporting volontario Esrs delle Pmi e nei prossimi tre anni preparerà anche 41 standard di settore.
L’obiettivo finale di questa rivoluzione portata avanti dalla Commissione europea è di ancorare la sostenibilità a norme e criteri quanto più oggettivi possibili affinché ne tragga valore l’intero sistema economico, con la consapevolezza che si tratti di una sfida impegnativa. E non a caso procede a rilento, ricalcando i tempi lunghi della rivoluzione avvenuta nel 2001 con l’introduzione degli standard contabili internazionali (Ias).
A dire il vero, però, non c’è soltanto l’Efrag impegnato in questa difficile partita per rendere omogenei i parametri contabili per la redazione di bilanci Esg da parte di banche e aziende in generale. Negli Stati Uniti è al lavoro la fondazione Ifrs (International accounting standards) che ha costituito un organismo ad hoc, l’Issb (International sustainability standards board), che ha già realizzato le prime due bozze dei parametri contabili Esg.
La speranza è che vi sia un coordinamento fra le bozze messe a punto in Europa e dall’altra parte dell’Atlantico affinché ci sia la maggiore uniformità possibile degli standard al fine di assicurare una rendicontazione precisa e che dia il giusto riconoscimento agli investimenti sostenuti dalle aziende in ambito Esg.