Il prodotto interno lordo cinese dovrebbe vedere un’espansione pari al 10,8 per cento nel secondo trimestre, periodo in cui l’inflazione segnerà un progresso del 3 per cento. La stima è del Centro di informazione di Stato. Ufficio studi dipendente dalla Commissione per lo sviluppo e le riforme nazionali, la principale autorità di pianificazione economica ha presentato l’aggiornamento delle proprie stime macro in un rapporto pubblicato sul China Securities Journal.
Se confermata rispetto alle attese, scrive il rapporto, la crescita del secondo trimestre porterebbe la prima metà dell’anno all’11 per cento, mentre il tasso di inflazione sempre per il primo semestre sarebbe pari al 2,9 per cento. Trainata dal boom di investimenti ed esportazioni, nel periodo gennaio-marzo l’economia cinese è cresciuta al ritmo dell’11,1 per cento con un’inflazione del 2,7 per cento, incoraggiando le scommesse su una nuova stretta di politica monetaria da parte della Banca centrale.
Intanto ieri l’Istituto di emissione cinese ha innalzato il coefficiente in valuta estera da applicare alle riserve degli istituti di credito commerciali, provvedimento che va proprio nella direzione di contenere l’espansione del credito. Lo riferiscono fonti bancarie, precisando che la misura porta questo mese dal 4 al 5 per cento la percentuale dei depositi in valuta estera che le banche commerciali devono accantonare e non utilizzare per finanziamenti o attività di trading. Il provvedimento è stato comunicato agli istituti di credito tramite una circolare privata, mentre un funzionario della banca centrale non conferma né smentisce la notizia.
Il coefficiente delle riserve in valuta è stato innalzato al 4 per cento dal precedente 3 per cento a settembre dell’anno scorso e anche nel caso precedente la misura non è stata annunciata pubblicamente dall’Istituto centrale, ma comunicato privatamente al mercato.
Negli ultimi mesi Pechino è intervenuta per frenare l’espansione del credito attraverso un innalzamento delle riserve obbligatorie delle banche commerciali denominate in yuan e una stretta di politica monetaria che ha ridotto il differenziale dei tassi ufficiali rispetto a quelli Usa.
La misura di ieri, dicono le fonti, sembra mirata a prevenire che le banche commerciali rispondano al minore differenziale rispetto ai tassi statunitensi, concedendo maggiori finanziamenti in valuta estera.
Alla luce dell’assai limitata percentuale delle riserve in valuta rispetto a quelle in yuan, concludono le stesse fonti, il provvedimento sembra avere natura principalmente simbolica e non dovrebbe avere un impatto significativo sul trading della valuta o sull’espansione complessiva del credito.