Da una possibile recessione nel 2023 che sarà comunque modesta a un futuro sempre più ad alto tasso tecnologico e positivo, con opportunità interessanti nell’ambito delle infrastrutture ma anche su obbligazioni e private asset. Sono tantissimi gli spunti che Michele Quinto, country head per l’Italia di Franklin Templeton, ci ha offerto nell’intervista concessa in esclusiva ai nostri microfoni.
Guardando al 2023, quali sono le strategie e i temi che ritenete non debbano mancare nei portafogli dei risparmiatori?
Il 2023 sarà un anno con uno scenario base di recessione che dovrebbe interessare Usa ed Europa, ma in misura modesta. Il rallentamento dovrebbe essere abbastanza breve. Abbiamo di fronte un 2023 a due facce: nella prima fase avremo un mercato orso, nella seconda fase ci sarà un impatto sugli utili delle aziende. Parliamo di un trend limitato ma che dovrà gioco forza influenzare anche gli investimenti finanziari, e bisogna attuare una strategia di protezione appropriata. Noi abbiamo individuato le infrastrutture come l‘asset class che dà maggiori garanzie in tale scenario, grazie alla loro regolamentazione e agli utili protetti dall’inflazione. Ci sono poi anche trend di lungo periodo che potrebbero favorire il tema infrastrutture: la sicurezza energetica in primis, oltre ai cambiamenti in atto nei trasporti. Sul fronte obbligazionario la view è più semplice, spread e rendimenti sono aumentati ovunque. Continueranno a farlo, più in Europa che in America, anche se nella seconda parte dell’anno bisognerà tener conto dell’affievolimento delle politiche monetarie. Per gli investitori, a nostro avviso, l’ideale è puntare su fondi con maggiore flessibilità su duration e rating. In questo modo è il gestore che individua il timing corretto per passare da investment grade ad high yield. Infine, una possibile sorpresa potrebbe essere rappresentata dai mercati emergenti, perché in caso di stabilizzazione della politica monetaria e indebolimento del dollaro, questa asset class potrebbe avere una crescita positiva.
Guardando più al lungo periodo, l’industria del risparmio gestito sta vivendo un momento di cambiamento ed evoluzione. Come si sta posizionando Franklin Templeton?
I cambiamenti a cui stiamo assistendo sono forti e repentini. Le dimensioni stanno diventando un must nel settore, perché ti garantiscono di poter fare gli investimenti necessari. Dunque c’è un tema di grandezza che diventa fondamentale, come sono importantissimi i processi interni alle società. La decentralizzazione è un altro trend in atto, con cui si punta sempre più a evitare gli intermediari. La blockchain sarà l’elemento disruptive, per cambiare il rapporto tra investitori e distributori. Noi siamo in una posizione finanziaria solida, che ci ha consentito di fare acquisizioni, raggiungendo una dimensione ideale per un settore come quello del risparmio gestito. Dopo l’acquisizione di Legg Mason abbiamo superato i 1.400 miliardi di dollari totali sugli asset gestiti. Oltre ad avere una dimensione globale, cerchiamo poi di essere anche specializzati, grazie al nostro modello multi-boutique. Questo approccio, con20 team di investimento diversi e specializzati su tutti gli ambiti del mercato (da liquido a illiquido, da attivo a passivo), ci consente di soddisfare tutte le esigenze dei clienti retail e istituzionali. Si tratta di un modello molto originale, e siamo i primi a farlo evolvere in questo modo. Al momento stiamo investendo nella tecnologia, perché vogliamo cavalcare il trend della digitalizzazione. Il nostro headquarter nella Silicon Valley ci ha naturalmente portati a permeare la nostra evoluzione su innovazione e tecnologia; dall’ospitare all’interno del campus un incubatore fintech all’avviare progetti basati su tecnologie blockchain. Stiamo proponendo iniziative importanti sui digital asset, ad esempio siamo stati il primo asset manager a tokenizzare le quote di un fondo in blockchain, lavorando anche con l’Authority.
I private asset possono rappresentare un’alternativa importante per il portafoglio. Qual è la view di Franklin Templeton al riguardo?
I private asset sono già entrati nella sfera d’interesse degli investitori italiani, ma se facciamo un confronto con il mondo notiamo che c’è un gap importante da colmare. Negli Usa i private asset sono già al 10%, noi invece viaggiamo ancora su numeri irrisori, è necessario accelerare. Secondo alcune ricerche, a livello mondiale i private asset rappresenteranno una quota tra il 20 e il 25% di tutti gli investimenti da qui al 2030. Parliamo di trilioni di dollari che passeranno da illiquidi a liquidi. Oggi c’è molto più valore per la crescita, sia negli illiquidi che sui liquidi. Questo perché le società entrano in borsa sempre più tardi, i tempi per la quotazione sono praticamente raddoppiati. E così la fase di crescita sostenuta di una società dei primi anni resta nei private asset. Oggi si parla anche della cosiddetta democratizzazione dei private asset, un qualcosa che è reso possibile da tecnologia e regolarizzazione. La clientela retail inizia a guardare a questa asset class con un certo interesse. Quattro delle nostre ultime acquisizioni sono state fatte per posizionarci nel private market, che al momento vale circa 250 miliardi di dollari, ovvero il 18% del nostro capitale. I trend da seguire nel private equity sono sostenibilità, private lending e secondario.
L’articolo integrale è stato pubblicato sul numero di gennaio 2023 del magazine di Wall Street Italia